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TERRA MADRE L’EVENTO DEL SALONE DEL GUSTO

A TORINO, DAL 26 AL 30 OTTOBRE DIVENTA UN FILM: IL REGISTA SARA’ ERMANNO OLMI

Torna “Terra Madre”, l’incontro internazionale tra le comunità del cibo, organizzato da Slow Food. E presto diventerà anche un film, per la precisione un documentario, diretto dal noto regista Ermanno Olmi.
E’ stato Carlo Petrini, fondatore e presidente onorario di Slow Food, a presentare, oggi a Roma, l’evento che si terrà a Torino dal 26 al 30 ottobre 2006, in contemporanea con il Salone del Gusto.

Nella presentazione, accanto a Carlo Petrini che, a distanza di due anni dalla prima edizione di “Terra Madre” si è detto convinto del fatto che è partita una rete planetaria, c’era il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali, Paolo De Castro, che ha ricordato l’importanza del settore agroalimentare, che è il secondo comparto industriale italiano dopo la meccanica e prima del tessile, con i suoi 107 miliardi di euro di fatturato nel 2005.

“La grande occasione di “Terra Madre” – ha affermato il ministro – è convincere il mondo che la diversità è ricchezza e sfatare il luogo comune secondo il quale la liberalizzazione del mercato aiuta i Paesi in via di sviluppo ad uscire dalla povertà”.

La filosofia dell’evento è quella di mettere a confronto produttori e operatori del settore agroalimentare mondiale rappresentativi di un modo diverso di intendere il cibo di qualità, attento alle risorse ambientali, all’aspetto organolettico, alla dignità dei lavoratori e alla salute dei consumatori.

Torna il Salone del Gusto

Torna il Salone del Gusto e si trasforma nel grande palcoscenico di “Terra madre” … Per cinque giorni, dal 26 al 30 ottobre, Torino sarà di nuovo il «villaggio globale del cibo». Il Salone del Gusto, arrivato alla sua quinta edizione, sposa infatti Terra Madre, l’incontro delle comunità contadine di tutto il mondo che già due anni fa gli aveva sottratto spazio e visibilità sui media.
Conviveranno in pratica sotto lo stesso tetto, le due manifestazioni: le Olimpiadi invernali hanno lasciato in eredità al Lingotto Fiere, sede storica del salone dei golosi, un nuovo padiglione, quell’Oval dove i pattinatori su ghiaccio italiano hanno vinto tante medaglie e che adesso ospiterà gli oltre 6 mila agricoltori che Terra Madre porterà a Torino in rappresentanza di oltre 20 milioni di produttori agricoli di 152 paesi del mondo: contadini, ma anche pescatori, allevatori.
Da quest’anno ci saranno anche studiosi e scienziati (hanno già annunciato la loro partecipazione alla kermesse torinese 400 università di tutto il mondo).
E cuochi: un migliaio gli invitati, molti dei più famosi chef del pianeta, ma anche chi cucina nelle mense aziendali o scolastiche, le cuciniere delle trattorie di strada africane o sudamericane. Il Salone, 140 mila visitatori nell’ultima edizione, si trasformerà così nel grande palcoscenico di Terra Madre: per la prima volta verranno ridotti gli spazi commerciali, il «mercato» (e il numero degli espositori) per far spazio ai Presidi, a quei prodotti a rischio di estinzione per i quali Slow Food ha avviato progetti di tutela: ce ne saranno 300 italiani e un centinaio di ogni parte del mondo, dal fagiolo zolfino toscano alla bottarga preparata dalle donne della Mauritania, al riso selvatico delle tribù native del Minnesota o al formaggio di latte di yak dei monaci tibetani. E sempre al Salone sfileranno i mille chef: i grandi nomi, dall’immancabile Ferran Adrià al nuovo astro spagnolo Dani Garcia, dal brasiliano Atala del ristorante Dom di San Paolo, all’italo tedesco Heinz Beck, della Pergola di Roma, dall’indiano Solomon al giapponese Teruo Sato.
Oltre a uno schiera di italiani (dal torinese Davide Scabin all’emiliano Massimo Bottura al siciliano Pino Cuttaia). E con loro cucineranno e dialogheranno le centinaia di altri «umili» cuochi.
Un cibo «buono, pulito e giusto»: è lo slogan di questa edizione del Salone, e il titolo del libro pubblicato un anno fa dal suo ideatore e anima, Carlin Petrini, leader di Slow Food.
«Sono i tre aggettivi spiega che il cibo deve avere per rispondere alle esigenze degli ecogastronomi, non più cricca di mangioni egoisti, per lo più facoltosi, ma consumatori consapevoli di poter incidere con le loro scelte sui modi della produzione alimentare». Parole che segnano anche la svolta «politica» di un movimento, Slow Food appunto, che quest’anno compie vent’anni.
Un’associazione nata a Bra, nel profondo Piemonte, come «cricca di ghiottoni», appunto, sia pure «intelligenti», e che si è trasformata via via in movimento politico, leader delle battaglie per una globalizzazione intelligente e un’agricoltura sostenibile, diventando un fenomeno mondiale: che piace a destra come a sinistra, ha decine di migliaia di iscritti in ogni continente, tra cui Carlo d’Inghilterra, presidenti e capi di governo.
Ma anche 200 dipendenti, un fatturato annuo da 20 milioni di euro, una casa editrice, l’Università del Gusto che, dopo le sedi di Pollenzo (in Piemonte) e Colorno (in Emilia), potrebbe aprirne una terza in Veneto. (arretrato de “Affari & Finanza de La Repubblica” del 12 giugno 2006)

La Repubblica 15 giugno 2006

PRESÌDI E RAFFORZAMENTO DEL LEGAME CON TERRA MADRE

“PRESÌDI E RAFFORZAMENTO DEL LEGAME CON “TERRA MADRE”: QUESTI GLI ATOUT DEL “SALONE DEL GUSTO” 2006. SLOW FOOD: “È POSSIBILE FARE SVILUPPO ANCHE SENZA CRESCITA”

Siamo a dieci anni dalla prima edizione, e ripensando al 1996, possiamo dire che c’era già, in nuce, l’edizione di quest’anno. C’era la difesa della biodiversità e c’era anche l’obiettivo di indicare una strada, puntando sulla qualità e le piccole produzioni artigianali.
Oggi, il Salone del Gusto ha scelto, sacrificando spazi espositivi commerciali a favore dei Presìdi e del rafforzamento del legame con “Terra Madre”, di dimostrare che è possibile fare sviluppo anche senza crescita”. Così Roberto Burdese, il nuovo presidente di Slow Food Italia, ha aperto le comunicazioni per spiegare le scelte e le novità che caratterizzeranno il “Salone del Gusto” 2006, a Torino, dal 26 al 30 ottobre, organizzato da Regione Piemonte, Città di Torino e Slow Food.
“Il Salone del Gusto e Terra Madre insieme contribuiscono – ha detto Elda Tessore, assessore al turismo e alla promozione di Torino – a valorizzare la vocazione turistica del nostro territorio. L’appuntamento 2006 farà rivivere l’intensità mediatica delle Olimpiadi.
La città sarà impegnata a organizzare e promuovere un clima di festa e di coinvolgimento; vorremmo che si riproponesse lo spirito di accoglienza di questo febbraio, quando Torino è diventata la capitale dello sport.
Il cibo, la musica e lo sport sono il linguaggio comune del mondo. Torino sarà la capitale del gusto”.
Mercedes Bresso, presidente della Regione Piemonte, ha tenuto a confermare la centralità del Salone del Gusto e Terra Madre nell’istituzione regionale: “in questi anni il Salone del Gusto è sicuramente cresciuto in termini quantitativi e qualitativi e insieme al Salone anche il Piemonte è cresciuto.
Questa regione ha una vocazione alla qualità dei prodotti che sta scritta nel nostro passato ma la crescita è sempre un fatto collettivo.
A questo stadio di elaborazione si è giunti grazie al concorso di molte intelligenze che hanno contribuito a valorizzare le colture tipiche del nostro territorio, promuovendone l’immagine, la sostanza e l’alta qualità.
“Terra Madre” poi è diventata una filosofia, un modo di essere, un nuovo modo di pensare il produrre, l’economia. Ancora una volta il Salone del Gusto darà più qualità al sistema Piemonte, ancora una volta scommettiamo sulla forza del locale che è vincente”.
Carlo Petrini, fondatore, anima e simbolo di Slow Food, ha voluto rivendicare il successo di un’idea che, dieci anni fa, era considerata un’utopia, portata avanti da un divertente gruppo di sognatori.
“Invece il tempo e gli avvenimenti ci hanno dato ragione e hanno dimostrato che applicare modi di produzione industriale nel campo dell’agricoltura e del cibo non è una soluzione giusta e sostenibile per l’ambiente e per la società.
Il Salone del Gusto quest’anno, con la presenza negli stessi giorni di “Terra Madre” ha proseguito il presidente mondiale di Slow Food “dimostrerà che la qualità è e deve essere accessibile a tutti, non élitaria né di nicchia.
Abbiamo voluto coinvolgere il mondo contadino perché deve farsi carico della sostenibilità ambientale, senza la quale non c’è futuro per il nostro pianeta. È un’alleanza necessaria che deve intervenire anche nell’educazione delle nuove generazioni, per le quali la mancanza di legami con la terra e le dinamiche della produzione del cibo significa una perdita culturale e di salute pericolosissima. “Terra Madre”, quest’anno, rigenera il Salone del Gusto.
La rete di “Terra Madre”, con la forza della globalizzazione virtuosa, aiuterà la produzione locale a resistere alla globalizzazione “cattiva” della pessima qualità e dell’ingiustizia sociale: il Salone del Gusto è il palcoscenico di questa economia.

Slow Food a sostegno di Terra Madre

Le Osterie d’Italia segnalate nella guida di Slow Food Editore aderiscono all’appello della Fondazione Terra Madre (costituita da Slow Food, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Cooperazione Italiana allo Sviluppo del Ministero Affari Esteri, Regione Piemonte e Città di Torino) per contribuire alla realizzazione dell’evento Terra Madre.
Il 19 maggio molti ristoratori tra quelli segnalati dal best-seller Osterie d’Italia devolveranno parte dell’incasso della giornata per l’acquisto di biglietti aerei destinati ai rappresentanti delle comunità del cibo provenienti da paesi del Sud del mondo che non potrebbero permettersi la spesa del viaggio.
La seconda edizione di Terra Madre, incontro mondiale tra le comunità del cibo, si terrà a Torino dal 26 al 30 ottobre 2006 in coincidenza con il prossimo Salone del Gusto organizzato da Slow Food, Regione Piemonte e Città di Torino.
Realizzare questo importante evento significa attingere a grandi risorse e per la sua piena riuscita occorre reperire i fondi necessari a sostenere le spese di viaggio dei delegati provenienti dai paesi più poveri. Per questo Slow Food ha indetto la prima giornata di solidarietà Osterie d’Italia per Terra Madre.
I locali lombardi che hanno aderito all’iniziativa sono:
Alle Rose – Salò (BS)
Alpino da Rosa – Rezzato (BS)
Castello di Emilio Zanova – Serle (BS)
Da Roberto di Roberto Scovenna – Barbianello (PV)
El Purtù di Manuela Torchiani – Barco di Orzinuovi (BS)
L’Osteria del Teatro di Angelo Bissolotti – Milano La Pergolina – Capriano del Colle (BS)
La Rosa Rossa – Verolavecchia (BS)
Locanda Agli Angel di Enrico Pellegrini – Gardone Riviera (BS)
Osteria Allo Scoglio di Mauro Bonardelli – Bogliaco (BS)
Osteria De L’Umbrelleèr di Luccini, Ponzoni, Segnizzi – Cicognolo (CR)
Osteria Del Crotto di Maurizio Vaninetti – Morbegno (SO)
Osteria della Villetta di Maurizio Rossi – Palazzolo (BS)
Osteria di Mezzo – Salò (BS)
Osteria Le due Colonne di Corrado Invernizzi – Truccazzano (MI)
Quartino – Brescia Trattoria Conti di Giuseppina Baroni – Roncadelle (BS)
Vegnòt di Padernello (BS)

Terra Madre riunisce e mette a confronto produttori e operatori del settore agroalimentare mondiale rappresentativi di un modo diverso e più complesso di intendere la qualità del cibo: attento alle risorse ambientali, agli equilibri planetari, alla qualità dei prodotti, alla dignità dei lavoratori e alla salute dei consumatori. Il futuro dell’agricoltura e del cibo è nelle mani di tante persone dalle diverse, ma concatenate, competenze: seed savers, cuochi, agricoltori, pescatori, raccoglitori di prodotti spontanei, allevatori, studiosi… e tutti costoro sono stati rappresentati a Torino nel 2004 dai 5000 partecipanti della prima edizione di Terra Madre, provenienti da 130 Paesi e rappresentativi di 1200 Comunità del Cibo.

Stefano Corrada

SALONE DEL GUSTO 2006

Ancora pochi giorni e la curiosità di tanti amanti del buon cibo e dei prodotti tipici sarà soddisfatta: il 31 maggio si terrà la conferenza stampa di presentazione del Salone del Gusto 2006 (Lingotto Fiere di Torino, dal 26 al 30 ottobre) e saranno finalmente svelati tutti i particolari del programma del più grande evento messo in piedi da Slow Food.

Giunta alla sesta edizione, la rassegna biennale è diventata un riferimento imprescindibile per chi vuole scoprire, conoscere ed apprezzare il meraviglioso mondo dell’enogastronomia.

Un crescente successo che ha portato all’attenzione del grande pubblico non solo sapori e tradizioni, ma anche straordinari esempi di patrimonio storico-ambientale nel campo dell’alimentazione.

Il Salone del Gusto si presenta, nel panorama delle fiere alimentari, come la risposta all’omologazione determinata da un mercato globalizzato, penalizzante per la piccola produzione di qualità.

Quest’anno in coincidenza con il Salone del Gusto si svolgerà Terra Madre 2006 – evento non aperto al pubblico – che riunisce e mette a confronto produttori e operatori del settore agroalimentare rappresentativi di modi di produzione sostenibile. Nel 2004 arrivarono a Torino ben 5000 rappresentanti di comunità del cibo da 130 nazioni.

Questa edizione sarà arricchita da una rappresentanza mondiale di cuochi, cuoche e docenti universitari coinvolti nelle tematiche ambientali e agricole.

Parla Winona La Duke

Winona La Duke

Inda-wei mo-ga-na-tuk!

Ecco come si dice “ciao” nella mia lingua. Sto dicendo “ciao, famiglia”. Ciao, contadini. Siamo molto contenti di essere qui con voi, noi della nazione ojaway, che si trova nella parte centrale del Nord America, tra gli Stati Uniti e il Canada, dove viviamo da molto tempo prima dell’esistenza degli Stati Uniti e del Canada. Sono grata di poter essere qui, insieme con molte altre popolazioni indigene del Nord America, per parlare del rapporto che abbiamo con il nostro cibo.
Il Creatore ci ha dato il cibo. Ci ha donato il cibo come una medicina, e noi abbiamo un rapporto spirituale con questi doni del Creatore. Ci viene insegnato, inda-wei mo-ga-na-tuk, che essi sono la nostra famiglia, sia che abbiano ali sia che abbiano pinne, sia che abbiano zoccoli o zampe, o che abbiano radici. Fanno parte della nostra famiglia. Noi non siamo migliori di loro e la nostra vita dipende interamente dalla loro. È questo il tipo di rapporto che noi, in quanto Anishinaabe, in quanto popolazione indigena e in quanto contadini, affermiamo durante le nostre feste di Ringraziamento, durante le nostre cerimonie e quando lavoriamo la terra.

Cinquecento anni fa, un uomo chiamato Cristoforo Colombo partì da questo luogo. Arrivò nel nostro continente in cerca della cosa sbagliata. Egli cercava gli schiavi e cercava l’oro, ma è invece il cibo proveniente dalle Americhe la più grande ricchezza dell’umanità. Questo è il punto della nostra discussione. Ci siamo ritrovati e abbiamo scoperto che è il cibo ciò che ci unisce. Non importa se parliamo russo, non importa se siamo neri, rossi o bianchi, tutti quanti dobbiamo fare affidamento su di esso. Dalle nostre comunità giunse gran parte del cibo che vediamo qui oggi. Mais, pomodori, patate, cioccolato, arrivò tutto dalle Americhe, così come molte delle varietà di zucca e fagioli che vengono consumate ogni giorno in tutto il mondo. Siamo estremamente grati di far parte della tradizione agricola del mondo.

Il processo di colonizzazione ha avuto una forte influenza su tutte le nostre comunità, sia che siamo irlandesi, sia che proveniamo dal Kenya, dal Sudafrica, dalla Scozia, o che apparteniamo a popolazioni indigene delle Americhe. Il processo di colonizzazione ci ha allontanati dalla nostra terra, dai nostri insegnamenti, dalla nostra capacità di sostenere il modo di vivere che ci è proprio, si è impossessato delle nostre risorse, delle nostre ricchezze e delle nostre lingue. La politica di far terra bruciata, adottata negli ultimi secoli, viene oggi replicata in molti modi diversi nei sistemi militari di tutto il mondo ed è adottata da multinazionali come la Monsanto. Le nostre comunità nelle Americhe si stanno riappropriando dei propri semi e della propria terra. Io provengo da una riserva indiana del nord-ovest del Minnesota, dove oggi lottiamo per proteggere il nostro riso selvatico, che ci è stato donato dal Creatore – il nostro cibo più sacro.

Lottiamo per evitare che venga brevettato e per proteggerlo dalla modificazione genetica, e questa lotta, ci siamo accorti, ci unisce ai contadini di ogni altra parte del mondo. Noi sappiamo, come sapete voi, che le forme di vita non appartengono alle multinazionali – ma ci sono state date dal Creatore. E sappiamo anche, come sapete voi, che oggi una delle maggiori minacce a ogni forma di vita è la modificazione genetica, che ha le potenzialità per contaminare i nostri semi più antichi, le nostre più antiche parti della creazione. Sappiamo inoltre, come sapete voi, attraverso le parole di uno dei nostri contadini che è giunto qui con la nostra delegazione dalla nazione Dineh, che l’acqua è per il mais. L’acqua non è per le compagnie minerarie, non è destinata alla multinazionale Bechtel, non è destinata alla privatizzazione. L’acqua è per i membri della famiglia, sia che abbiano ali o che abbiano pinne, sia che abbiano due gambe o che abbiano radici. Terra Madre contribuisce al recupero di queste tradizioni. Siamo onorati di essere qui con i contadini e i mietitori di molte parti del mondo che si sono uniti per dire “Basta. Questo è troppo”.

Rimarremo sulla nostra terra, rimarremo accanto ai nostri fiumi, accanto ai nostri oceani, e urleremo “Non potete prenderci il nostro sangue”. E attraverso la pratica delle nostre preghiere, del nostro cibo, delle cerimonie e della fatica del nostro lavoro, recupereremo il rapporto con la nostra grande famiglia che constituisce il nostro cibo. E grazie a questa pratica– e all’impegno di oggi, – assicureremo alle nostre generazioni future, sette generazioni a partire da adesso, di avere cibo, di avere la terra e di poter continuare queste tradizioni che ci sostengono da generazioni.

Wi-guich-miu. Grazie di cuore per il vostro tempo.

Winona La Duke vive e lavora presso la riserva White Earth nel Minnesota settentrionale. Nel 2003, ha vinto il Premio Slow Food per la difesa della biodiversità.

Translation by Luisa Balacco

L’Onu dei custodi del buon cibo

Contadini, farmers e campesinos: a Torino i sapori del mondo

Roma – Ci saranno i produttori di sciroppo d’acero del Quebec, che usano tecniche documentate dal 1609, e i Groupements des femmes delle montagne del Benin, che lavorono i semi del bao bab per ricavare una farina che ha il 50 per cento delle proteine e il 15 per cento di olio. Gli allevatori di lama del Potosì, una delle regioni più povere e disastrate della Bolivia e i coltivatori di cachi della California. I produttori d’uvetta di Herat, una città afgana con 2.500 anni di commercio alle spalle dove si piantano le viti in trincee profonde due metri per difenderle dai micidiali sbalzi di temperatura, e i giapponesi che coltivano riso biologico usando le stesse varietà adoperate da 18 secoli. In tutto arriveranno a Torino, da domani al 23 ottobre, quasi 5 mila persone in rappresentanza di 131 Paesi. E’ Terra Madre, il primo appuntamento organizzato dallo Slow Food per dare voce alle comunità del cibo. Pescatori, nomadi, campesinos, farmers, paysannes provenienti dai più sperduti angoli della Terra convergeranno sul Piemonte per far nascere l’Onu dei popoli del cibo. “Quando hanno saputo di questa iniziativa, in tanti ci hanno chiesto se volevamo fondare un’internazionale contadina, dar vita a un manifesto politico”, racconta Carlo Petrini, il presidente dello Slow Food che ha inventato il raduno. “Ma questo è un punto di vista vecchio che continua a mettere l’Europa al centro del mondo. Invece abbiamo tutti molto da imparare, molto da ascoltare. Non abbiamo chiamato a raccolta i diseredati per diffondere il verbo del vero cibo. A Torino arriveranno i leader di 1.200 comunità locali: gente che non solo ha memoria di saperi antichi ma anche pratica di equilibri di potere moderni.
Vogliamo costruire una rete operativa in cui tutti sono protagonisti: paesi poveri e paesi ricchi. Tutti alla pari. A tutti è fornita la possibilità di scambiare informazioni teoriche e indirizzi commerciali: Terra Madre somiglia più a un Internet sensorialmente basato che a un’internazionale vecchio stampo”. Il punto di partenza di Terra Madre, che si svolgerà parallelamente al Salone del Gusto, è il disastro ambientale che continua a sottrarre alla nostra tavola un sapore dopo l’altro. Per salvare quello che resta sono stati organizzati 61 Laboratori della Terra, seminari in cui i protagonisti della scena alimentare metteranno in comune le loro esperienze e discuteranno accordi concreti. Si discuterà dei cereali minori (“Cibo dimenticato o cibo del futuro?”): miglio, sorgo, fonio, amaranto, quinoia, specie resistenti alle malattie e adatte ai terreni difficili ma anche fuori moda, in alcuni casi a un passo dell’oblio definitivo. Si parlerà dell’agricoltura d’alta quota (dalle patate andine alla castagna del Ticino) e della comunicazione rurale (dalle radio alle newsletters). Si ricostruiranno le vie delle spezie e il cammino dei profumi e dei popoli migranti. Si parlerà delle birre di tipo tradizionale e dei semi oleosi come l’argan, la senape, il papavero, il girasole. Un dibattito affascinante ma anche assai complesso. Per risolvere i problemi pratici si sono dovuti mobilitare la Farnesina, in modo da ottenere visti straordinari per 1.400 invitati che senza la “raccomandazione alimentare” rischiavano di essere presi per immigranti clandestini; un gruppo di sponsor significativo (dal Comune di Torino alla Coldiretti, dal ministero delle Politiche agricole alla Regione Piemonte), in modo da onorare 1,6 milioni di euro di biglietti aerei; uno stuolo di interpreti, in modo d’assicurare la tradizione simultanea nelle sette lingue ufficiali di Terra Madre.

Antonio Cianciullo

“La Repubblica” 19 Ottobre 2004

UNA SFIDA AL BIOTECH CHE AVANZA

“TERRA madre” è un gran bel nome. Ma è l’argomento che genera pensieri e parole importanti: avrebbe potuto chiamarsi anche Internazionale del Pane, e segnalare una volta per tutte il salto di qualità politico di Slow Food, che si è fatta conoscere (nel mondo) per la cultura gastronomica, ma è ormai a pieno titolo un movimento contadino transnazionale. Ben più che al Salone del Gusto, fiera delle piacevolezze organolettiche, è in queste giornate piemontesi che Carlo Petrini e i suoi forti ragazzi (età media sotto i trenta) scommettono sulla possibilità di riportare il settore primario sotto i riflettori della politica che conta. Da noi “contadino” significa ormai poco (e comunque assai meno di quanto dovrebbe), ma per la maggioranza della popolazione mondiale la terra è ancora la principale fonte di reddito, è la vita quotidiana, è cibo e lavoro, è identità.
Grazie a un lavoro febbrile e annoso di contatti intellettuali, di relazioni umane, di alleanze politiche in ogni continente della Terra, Slow Food è riuscita a organizzare una rete ormai stabile di realtà locali, di movimenti, di esperienze che fondano sul cibo (che è molto di più della gastronomia) la propria “ragione d’essere e di agire”. Petrini conta ormai quasi tanti viaggi quanti il Papa, è appena tornato dall’India, è spesso in America, parla con i vigneron francesi come con i produttori di vaniglia messicani. Solo un tessitore instancabile come lui poteva riuscire a fare arrivare in Langa e dintorni migliaia di contadini da ogni parte del mondo, per una specie di National Geographic vivente di antropologie, facce, favelle, vite, culture e colture. Racconta Petrini della facilità straordinaria con la quale gente di latitudini disparate, a dispetto della separazione linguistica, dopo pochi minuti riesce a comunicare, a incrociare esperienze, a scoprire nella storia dell’altro similitudini impensate, a far tesoro delle disavventure o dei successi altrui. Ovunque le strozzature del mercato e l’imperialismo omologante delle coltivazioni ogm incontrano la resistenza di coltivatori tenaci, che difendono la biodiversità e con essa la propria sussistenza. La parola “radici”, se detta da chi lavora la terra, ha una ricchezza di significati straordinaria, significa memoria ma anche futuro, significa avere o non avere potere e autodeterminazione (far radicare questa pianta invece di quella può significare vincere o perdere la battaglia per l’autonomia economica, dunque anche politica…). “Terra Madre” sarà una specie di rassegna mondiale delle identità contadine, colpo d’occhio unico sullo stato dell’ambiente antropizzato, occasione impedibile per chi voglia fare sul serio una politica della terra, conoscere i problemi, studiare i contraccolpi, progettare i rimedi. Sarà difficile, per Slow Food, impedire che lo spettacolo delle fisionomie prenda il sopravvento sulla sostanza politica dell’evento, che rischia di diventare, sui media, puro folklore e pura festa. Anche perché, nel modo di lavorare di Slow Food, la festa è un modo costante di celebrare l’incontro, niente a che vedere con la convegnistica politica tradizionale, con la quaresima delle relazioni dotte. Il rischio, ben noto a Petrini, è che in uno sguardo esterno il piacere faccia ombra alla politica, tanto siamo abituati a separare la politica dal piacere, tanto siamo rassegnati a una politica senza coinvolgimento umano ed emotivo. La scommessa (fino adesso vincente) di Slow Food è ribaltare il concetto: solo il piacere può salvare la politica, e “Terra Madre” già esonda dalle sue sedi ufficiali per celebrare, nelle case e nei locali di mezzo Piemonte, una festa contadina mai vista, poliglotta e polimorfa, nottambula, ciarliera, terribilmente seduttiva.

Michele Serra

“La Repubblica” 19 Ottobre 2004

La vetrina dei sapori

Il viaggio nel buono è anche coltivare la sostenibilità dello sviluppo rurale per tutelare il pianeta e sfamare chi lo abita

Che cosa è il gusto? Interrogativo non banale quando a Torino si inaugura un evento di portata europea. Interrogativo sul quale si sono misurati i filosofi della classicità fin quando non fu sancita un’artificiosa, almeno così appare a noi gourmet, divaricazione tra il gusto estetico e il gusto organolettico. Tutto rimanda a quella bipartizione tra i sensi alti (la vista e l’udito) e i sensi bassi, appunto l’olfatto e il gusto perché del tatto poco ci si è curati in senso speculativo.
E si è ritenuto perciò che l’arte (la pittura e la musica) avesse ben più gusto del cibo. Fortunatamente del tardo ‘700 e soprattutto grazie a Brillat-Savarin la gastronomia ha ripreso dignità culturale e negli ultimi decenni, per opera almeno in Italia soprattutto di Slow Food, occuparsi del mangiar bene e bere meglio è diventato di nuovo anche esercizio d’intelletto. Sta di fatto che il gusto designa tanto lo stile quanto il senso perché quando mangiamo (e ancor più quando beviamo) in realtà sollecitiamo tutti i sensi. Perciò il Salone del Gusto che giunge quest’anno alla quinta edizione (la kermesse voluta da Carlo Petrini come una rassegna dove i piccoli produttori dei gioielli enogastronomici avessero finalmente una vetrina dalla quale presentare il frutto del loro lavoro ha cadenza biennale) è non solo un grande contenitore di squisitezze, ma soprattutto una concentrazione di idee per occuparsi del buono. Il buono è l’equilibrio tra uomo e natura, il buono è uno sviluppo sostenibile, il buono è ridare protagonismo all’agricoltura attraverso una ri-ru-ralizzazione che ci consenta di mantenere il pianeta e di sfamare la gente che lo popola. Ecco il vero salto di qualità che il Salone del Gusto ha compiuto e la nuova filosofia di Slow Food, che dopo aver sdoganato il cibo e il vino dalla loro minorità culturale, oggi punta a far crescere la consapevolezza che è attraverso il riscatto dell’agricoltura che si può costruire una globalizzazione buona. Ma se questa è la parte teorica del Salone, per i curiosi del buono c’è soprattutto tanto da scoprire, da degustare, da apprezzare. Per dirla con Carlin Petrini: tutti possiamo essere buongustai e il gusto non è affatto un lusso. Nei cinque giorni del salone (la vetrina torinese ospita al Lingotto prosegue dal 21 al 25 ottobre) ci saranno in funzione centinaia di laboratori del gusto dove si impara a conoscere le produzioni rare, ci saranno le esposizioni dove i territori (ecco l’importanza del legame tra ambiente e prodotto) metteranno in campo le loro specialità, ci saranno i mercatini del Buon Paese (i prodotti italiani), del Mondo (con tutte le migliori produzione del pianeta) e dei Presidi (sono i prodotti in via di estinzione salvati da Slow Food), ci sarà il Teatro del Gusto dove i migliori chef a turno cucineranno e insegneranno a cucinare. Un programma sconfinato che prevede l’incontro con le cucine del pianeta (a confronto i desinari di una quarantina di paesi), lo spazio dedicato ad ognuna delle ventitre regioni italiane che consente di fare davvero nel perimetro della Fiera un viaggio di gusto attraverso il paese che conta il più alto numero di Dop, ci sarà la biblioteca del cibo, ci saranno infine le tavole del Gusto. Saranno riservate a chi, non sazio di degustare e di assaggiare all’interno del Salone, deciderà di scoprire Torino (il Salone è allestito in collaborazione con la Regione Piamente e il capoluogo si candida a essere la capitale del buono d’Italia) dove trenta tavole piemontesi offrono ai cultori del cibo cene costruite sui prodotti di territorio. Un’attenzione particolare al Salone del Gusto è dedicata quest’anno al pane, all’olio e al vino ospitato in una enorme enoteca (il più grande wine bar d’Europa) dove oltre mille etichette sono in degustazione. Per un brindisi al buono.

DI CARLO CAMBI

“I Viaggi di Repubblica” Edizione 21 Ottobre 2004

L’uva di Herat e altre delizie storie di ordinaria biodiversità

Sono arrivati tutti assieme da un capo all’altro del mondo. Una specie di «quarto stato» dell’agricoltura mondiale: contadini, pescatori, artigiani del cibo. Ma accanto a loro ci sono anche i cultori del astronomicamente raro che in Occidente è un business in crescita. Per la prima volta a Torino, alla prima edizione di Terra Madre (traduzione del termine Pachamama, usato dagli indiani quechua per indicare il valore spirituale della terra), potranno incontrarsi e dialogare.
Si cucineranno assieme le storie dei grandi gastronomi mondiali e le vite di chi si è speso direttamente sui campi per salvare con le proprie mani i sapori che rischiano di scomparire per sempre.
E non sarà solo un incontro formale o un meetig lavorativo. I ledear mondiali delle comunità del cibo troveranno alloggio in casa dei produttori di fontina della Val d’Aosta e dei vignaioli piemontesi. I pescatori del Senegal verranno ospitati dai pescatori liguri. Le donne della cooperativa Amal, che in Marocco è riuscita a compiere il miracolo di recuperare l’olio di argan, con il suo sottile retrogusto e i suoi molteplici impieghi, racconteranno la loro esperienza di lavoro laico e tradizionalista dal punto di vista gastronomico ma non certo religioso in un paese musulmano che vive un momento critico.

Antonio Cianciullo

“La Repubblica” 19 Ottobre 2004