Category Archives:Frutta Secca

FILIERA MANDORLA

PREMESSA. La sempre più grave situazione in cui versa l’intero comparto mandorlicolo siciliano impone la tempestiva adozione di strategie che impegnino la parte pubblica e l’intera filiera produttiva in incisive ed efficaci azioni di rilancio del settore. Tempestività ed efficacia sono fattori essenziali: la situazione della mandorlicoltura siciliana rischia, infatti, di giungere nel giro di 1 o 2 anni al punto di non ritorno, con la estirpazione degli impianti da parte dei produttori a causa della concorrenza californiana, che sta comprimendo il mercato al di sotto del limite di remunerazione dei costi.
L’elemento, però, che rende questa situazione paradossale è il fatto che i dati del consumo mondiale della mandorla registrano un continuo aumento raggiungendo nel 2007 i 4.300 miliardi di dollari( v. all.1) 1, senza considerare le ancora inesplorate possibilità aperte dai nuovi mercati dei paesi in via di sviluppo . E’ evidente, quindi, che non si tratta di una crisi di sovrapproduzione ma di una inadeguata capacità del comparto mandorlicolo siciliano di uscire dai tradizionali schemi produttivi e commerciali per mettersi al passo con le mutate esigenze del mercato globale.

Una nuova strategia

E’, pertanto, necessario adottare una nuova strategia di rilancio del settore che apra prospettive nuove alla mandorlicoltura siciliana, puntando a contrastare in maniera decisa e tempestiva la concorrenza statunitense non sul terreno dei prezzi ma sul piano della qualità del prodotto siciliano.

Un approccio diverso

Per essere realmente efficace questa nuova strategia deve essere fondata su un diverso approccio metodologico e operativo, che distingua in modo netto le iniziative da adottare distinguendole in : A © azioni da rivolgere al prodotto B © azioni da rivolgere ai produttori e ai trasformatori. Tale distinzione consente, infatti : 1. da un lato, di definire e attuare le azioni di valorizzazione del prodotto siciliano sui mercati regionali, nazionali e stranieri, da realizzare nei tempi più brevi possibili, pena la scomparsa del settore. 2. dall’altro, di definire e attuare le azioni da rivolgere alle aziende dell’intera filiera ( produttori, trasformatori, commercianti, utilizzatori materie prime etc ), con un programma di interventi strutturali e infrastrutturali a breve, medio e lungo termine.

 

IL PISTACCHIO DI BRONTE E SAGRA DEL PISTACCHIO – 29 SETTEMBRE / 30 OTTOBRE 2007

Ai più risulta più familiare associare al nome Bronte il cognome delle sorelle Bronte e in particolare Emily che tanto lustro hanno dato alla letteratura, ma non molti sanno che un sottile filo rosso (sarebbe più corretto dire verde e vediamo il perché) lega la grande scrittrice alla città di Bronte in Sicilia.
Bronte è una città di 20.000 abitanti che si trova sul versante occidentale del vulcano più dispettoso d’Europa, il Monte Etna, incastonata come uno smeraldo tra i boschi delle pendici dell’Etna, il fiume Simeto e i Nebrodi e collocata all’interno di una Riserva, il Parco Naturale dell’Etna, che possiede un habitat particolarmente adatto allo sviluppo e alla conservazione di quella che è diventata la vera ricchezza, la gemma per eccellenza della città siciliana.
Ma prima chiariamo come mai esiste un legame tra l’Irlanda e la Gran Bretagna e la Sicilia. Nel XVIII secolo, dopo aver appreso che l’Ammiraglio Nelson era stato insignito del titolo del Duca di Bronte (e per chi non lo avesse mai saputo la news fa un certo effetto!), Patrick Brunty o Prunty si innamorò del nome Bronte tanto che pensò di trasformare il suo cognome in Bronte, mettendo una dieresi sulla E finale in modo che in inglese non venisse storpiato, o meglio, pronunciato secondo la fonetica anglosassone.
Le tre figlie di Patrik e di Maria Brauwell che Patrick sposò nel 1812 sono le più note sorelle Bronte che con la loro fama hanno contribuito a diffondere il nome della città in tutto il mondo. Ma non dimentichiamoci dell’Ammiraglio Nelson. Nel dicembre 1789 re Ferdinando I, a seguito dei moti rivoluzionari che sfoceranno nella nascita della “Repubblica Partenopea”, dovette abbandonare Napoli e rifugiarsi, con l’aiuto di Nelson, in Sicilia, a Palermo.
L’anno dopo il re Ferdinando fu rimesso sul trono di Napoli grazie all’aiuto di Horatio Nelson. Ferdinando I in segno di riconoscenza concesse a Nelson in perpetuo l’Abbazia di Maniace, le terre e la città di Bronte che, in precedenza, erano appartenute alla città di Palermo.
Ma perché tra le tante terre che Nelson avrebbe potuto chiedere al re scelse proprio Bronte? Questo non ci è dato di saperlo, possiamo fare solo delle supposizioni: una simpatia di Nelson per il nome della città di origine greco e che vuol dire “tuono”, oppure, molto più verosimilmente, la scelta cadde su Bronte e il suo territorio poiché Nelson si identificò con il mitico Ciclope (Vuole il mito che il ciclope Bronte, figlio di Nettuno, sia stato il fondatore ed il re della città omonima), anche l’ammiraglio aveva infatti perso un occhio qualche anno prima (nel 1794) durante una battaglia.
Con questa breve presentazione della città ci si è soffermati su un paio di curiosità che la riguardano e delle quali non molti sono a conoscenza. Ma Bronte val bene una visita, soprattutto in questo periodo, per ciò che, negli ultimi anni e grazie al successo ottenuto, ha messo in ombra le vicende raccontate, le Sorelle Bronte e l’Ammiraglio Horatio Nelson, per fare brillare la città di luce propria: il Pistacchio, l’oro verde, il vero e proprio Re di Bronte.
Dopo la rivolta di Bronte, uno degli episodi più tristemente famosi seguiti all’impresa dei Mille, fu promossa una trasformazione di una vasta zona agraria e gli antichi pascoli vennero trasformati in pistacchieti.
E impressiona come, tra le forre nere di basalto e tra i rivoli disegnati dalla lava solidificata, possa crescere una qualche forma di vita con un vigore tale da trarne un senso di straordinaria ricchezza che nasce dal contrasto tra la nera lava e la natura che prepotentemente vi si sovrappone.
Durante il mese di settembre, ma solo negli anni dispari, a Bronte si è nel pieno della raccolta dei pistacchi. I contadini colpiscono con delle verghe i rami più carichi e una pioggia di frutti cade sui teli stesi per terra. Ogni due stagioni gli alberi vengono lasciati riposare, le gemme vengono “accecate” affinchè l’anno dopo si ottenga una produzione più abbondante e una qualità migliore. Per il pistacchio questo è un anno sì e per la XVIII volta si svolgerà la Sagra del Pistacchio dal 29 settembre al 7 ottobre, la festa dedicata a questo frutto, ai suoi colori, alle sue varietà, alle sue infinite preparazioni, in polvere o in crema, sui dolci o come condimento per la pasta, un frutto che rende Bronte la prima produttrice nazionale del pistacchio con oltre tremila ettari in coltura specializzata (più dell’80% della superficie regionale coltivata a pistacchio).
Il pistacchio di Bronte è unico, dolce, delicato e aromatico insieme. Ed è anche uno spettacolo quando non è stato ancora staccato dall’albero, con i frutti riuniti a formare dei grappoli e con colori che vanno dal beige rosato, al rosa e al carminio, mentre sotto il mallo, il guscio bianco fa intravedere il la polpa di un verde vivo e brillante screziata di rosso.
La coltivazione del pistacchio risale ad almeno mille anni fa quando la pianta venne importata in Sicilia durante la dominazione araba e si è adattata al clima e al terreno. Gli Arabi hanno fortemente connotato gli usi agricoli e il dialetto dell’isola e questa influenza forte e decisiva si ritrova nel dialetto brontese che chiama il pistacchio Frastuca (da Frastuk che in arabo vuol dire pistacchio) e Frastucara la pianta. Tracce arabe si ritrovano anche nell’arte di preparare i dolci al pistacchio. Arte che fa di Bronte un vero e proprio paradiso per i golosi. In tutta la città sono diffuse pasticcerie di alto livello che mettono in mostra l’oro verde sotto forma di croccanti, torroni, torte, biscotti, fillette, gelato, crepes, liquori al pistacchio. Da qualche anno viene utilizzato dagli chef per la preparazione di pietanze salate alle quali il frutto si adatta perfettamente grazie al suo aroma e al tocco decorativo del colore verde smeraldo.
E il rosa della mortadella non sarebbe lo stesso senza i pezzettini di pistacchio che lo illuminano e conferiscono all’insaccato un gusto unico e del tutto particolare. Secondo una tradizione, poi, il pistacchio porterebbe abbondanza, fortuna e gioie d’amore.
Come per la scorsa edizione anche per la Sagra del Pistacchio del 2007 saranno disponibili circa 100 stand all’interno dei quali i visitatori potranno effettuare degustazioni di prodotti e piatti a base di pistacchio. Gli stand saranno aperti con il seguente orario: domenica 30, mercoledì 3, sabato 6 e domenica 7 ottobre dalle ore 10,00 fino alla chiusura serale; gli altri giorni dalle ore 17,00 fino alla chiusura serale. Anche quest’anno, in occasione della Sagra, l’Amministrazione Comunale organizza i concorsi Miglior Vetrina, Miglior Stand, il Dolce più buono, il Gelato più buono, l’Itinerario gastronomico ed un Concorso Fotografico.

Mandorle e Pistacchi – seguiti passo passo

Seguire ogni passaggio di mandorla e pistacchio dal campo alla tavola. In parole povere, un sistema di tracciabilità che consenta al consumatore di conoscere con esattezza l’origine dei prodotti, anche trasformati, che acquista.
A tal proposito, l’assessorato Agricoltura, insieme alla rete dei Laboratori regionale Asca, alla rete di filiera frutta secca, al Coribia, all’Università di Catania, all’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari di Catania (Icqrf) e ai consorzi di tutela “Pistacchio verde di Bronte”, “Mandorla di Avola” e all’Associazione “Mandorla di Agrigento”, hanno messo a punto un progetto per partecipare al bando nazionale sulla tracciabilità agroalimentare.
Il nuovo sistema di tracciabilità, che si svilupperà su base sia informatica che cartacea, servirà a rispondere alle esigenze di tutta la filiera, produttori – trasformatori – clienti che vogliono conoscere la provenienza del prodotto.
Capita, infatti, sempre più spesso che le produzioni siciliane rimangono in magazzino e vengano vendute a prezzi vili poiché la concorrenza di prodotti qualitativamente sadenti o contraffatti occupa gli spazi delle nostre eccellenze. Il programma, che si svolgerà in tre anni, prevede la mappatura di tutta la filiera, la codificazione dei prodotti, nonché degli operatori commerciali e dei trasformatori, l’informatizzazione del sistema e la predisposizione di un programma gestionale con la tracciabilità on line.
Asca e Icqrf si occuperanno invece della caratterizzazione merceologica, chimica e anche del Dna per riscontrare, specie nei prodotti trasformati (creme, dolci, preparati alimentari), tracce di prodotti d’importazione non dichiarati in etichetta.

PISTACCHIO, UN PRODOTTO DA DIFENDERE TIPICO DELL’AGRICOLTURA SICILIANA

Non si può che esprimere apprezzamento per la campagna pubblicitaria e d’informazione, che recentemente i Coltivatori Siciliani di Pistacchio (quelli di Bronte in testa) hanno intrapreso per promuovere sui mercati il loro prodotto. Non sono – così – mancate, per i Consumatori, le indicazioni sul miglior modo di utilizzare questo frutto nella gastronomia, nella pasticceria e persino nella gelateria d’alto livello.
Per l’occasione non sono mancate le informazioni sulle cosiddette Virtù salutistiche di questo prodotto, che, da più di un millennio, è tipico dell’Agricoltura Siciliana. Insomma: si è resa – così facendo – anche giustizia all’antica e vivace (e ricca d’insegnamenti propri della cultura popolare) tradizione Agricola tipicamente siciliana.
Per quanta riguarda l’impegno specifico della Città di Bronte, siamo certi che il riconoscimento da parte dell’Unione Europea della Denominazione d’Origine Protetta (DOP darà a questo prodotto – che è un vero e proprio tesoro naturale – ulteriori, qualificate credenziali ed una maggiore visibilità.
Ciò detto, auspichiamo l’adozione d’analoghe iniziative da parte degli Agricoltori delle altre Province siciliane, dove le antiche, tradizionali, colture del pistacchio sono state – se non abbandonate – certamente trascurate. E dove tuttavia si sono realizzate spontaneamente alcune varianti altrettanto apprezzabili.
Le quali, ovviamente, nulla possono togliere alla identità e al primato del prodotto di Bronte che cresce su fondi ricavati talvolta sulle Sciare della lava dell’Etna.
Vorremmo infatti ricordare a noi stessi, innanzitutto, ed alle Istituzioni, agli Operatori Agricoli e Commerciali, e a tutti coloro che svolgono ruoli istituzionali che la riaffermazione della Tipicità del prodotto Siciliano, in quanto tale, potrà – fra l’altro – essere l’unica arma vincente nei confronti della invasione di pistacchi provenienti dai Paesi Asiatici (dall’Iran e dalla Turchia soprattutto), a prezzi inferiori e senza troppe pretese di qualità…L’accentuazione della Sicilianità dei nostri prodotti diventa, pertanto, uno strumento di commercializzazione, oltre che opportuno, necessario.
Ed i nostri molteplici prodotti sul mercato internazionale si aiuteranno a vicenda e sfonderanno tutti assieme se i loro promotori avranno l’accortezza e la capacità di valorizzare – essi stessi per primi – la identica matrice siciliana. In questo contesto ci permettiamo di suggerire che il pistacchio siciliano, nelle iniziative pubblicitarie e nella commercializzazione, venga indicato anche con l’antico termine, ancora molto in voga fra i nostri Contadini, di Festuca. Che com’è noto, proviene dall’arabo Fustuq e che letteralmente significa Pianta per antomasia.
Una parola in lingua Siciliana…non guasta mai. Anzi spiegherebbe meglio i contenuti ed il valore dell’offerta pubblicitaria. E alzerebbe il tono della comunicazione commerciale.

Giovanni Basile

Sicilia Tempo Maggio 2006

LE MANDORLE IN SICILIA

“Era inevitabile: l’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati” (Gabriel Garcia Marquez, L’Amore ai tempi del Colera).
Secondo una antichissima leggenda il mandorlo nacque da uno di quegli amori disgraziati che vedevano protagonisti gli eroi, gli uomini o l’intera famiglia degli dei. Gli antichi Greci narravano che Fillide, una principessa Tracia, incontrò Acamante, figlio di Teseo, sbarcato nel suo regno per una sosta durante la navigazione verso Troia. I due giovani si innamorarono perdutamente ma Acamante fu costretto a proseguire con gli Achei per combattere nella guerra di Troia. La giovane principessa, dopo aver atteso dieci anni che finisse la guerra, non vedendolo tornare con le navi vittoriose si lasciò morire per la disperazione. La dea Atena, commossa da questa struggente storia d’amore, decise di trasformare Fillide in uno splendido albero di mandorlo. Acamante in realtà non era morto e quando seppe che Fillide era stata trasformata in albero abbracciò la pianta che per ricambiare le carezze fece prorompere dai suoi rami fiori anziché foglie. L’abbraccio si ripete ogni anno quando i fiori del mandorlo annunciano la primavera.
Il mandorlo, nelle due varietà dolci o amare, appartiene alla famiglia delle Rosacee e fin dall’antichità si diffuse nei Paesi del Mediterraneo, in Asia e in Africa, per la sua bellezza e per il suo preziosissimo seme: la mandorla. In Sicilia sbarcò insieme ai Fenici e il suo uso si diffuse successivamente nelle colonie greche. Veniva utilizzato in cucina per la preparazione di squisiti dolci ma si traeva da esso anche l’olio che, a partire dal Medioevo, talvolta, si sostituiva al più costoso olio di oliva.
Sono molte le implicazioni simboliche della Mandorla tra le quali la più diffusa è quella dell’iconografia tradizionale medievale. La mandorla circonda spesso il Cristo o la Vergine Maria a significare che la natura divina è contenuta all’interno di quella umana. Quest’iconografia è frequente anche nella pittura rinascimentale.
All’inizio del secolo scorso la provincia di Agrigento era il primo produttore mondiale e la mandorla rappresentava la principale fonte di reddito. Venivano coltivate circa 752 specie.
La massima diffusione si ebbe negli anni ’60 con circa 200 mila ettari di terreno impiantati a mandorleti.
L’azione dell’uomo per impiantare il mandorlo viene a modificare in parte il paesaggio: colline brulle vengono, con dura fatica, terrazzate con muri a secco dove vengono “seminati” delle mandorle amare.
Dopo un anno il piccolo alberello di mandorlo viene innestato.
Di questo frutto nulla veniva perduto: la legna della potatura serviva ad alimentare i forni per la cottura del pane, con il mallo esterno si lavorava un tipo di sapone molle chiamato “scibina”, il guscio veniva utilizzato per alimentare i bracieri in casa.
Agrigento non detiene più questo primato che tuttavia si sta cercando di recuperare. In primavera si svolge in questa città la sagra del “mandorlo in fiore” che ricopre la Valle dei templi di un delicato manto bianco e rosa simile a quello di una sposa che annuncia la primavera. (A proposito di spose, sembrerà strano ma le mandorle sono molto utilizzate anche nella cucina dei Paesi settentrionali dell’Europa e in Svezia sono protagoniste di una tradizione molto simpatica.
Alla vigilia di Natale si prepara un dolce di riso all’interno del quale viene nascosta una mandorla. La persona che la trova sarà la prima a sposarsi).
Se la festa dei mandorli ad Agrigento è la più conosciuta non bisogna dimenticare, in Sicilia, la bellezza delle coltivazioni delle campagne di Noto, nel siracusano. Da questa zona provengono i frutti più profumati, quelli più ricchi di proteine e di essenze e tra tutte le varietà una particolare menzione merita la Pizzuta di Avola, la più elegante tra tutte le mandorle, impareggiabile per forma e gusto. Piattissima, ovoidale e regolare è perfetta per la confetteria più fine ma anche per la preparazione dei dolci siciliani.
Tutti i dolci che si preparano rimandano al mondo arabo e alle origini asiatiche della mandorla. Le mandorle amare contengono acido prussico (acido cianitrico prodotto dall’amigdalina) e non vanno dunque consumate in grande quantità. In pasticceria si utilizzano per preparare gli amaretti.
L’utilizzo della mandorla per la preparazione di dolci è molto vasto, ogni provincia o, addirittura, ogni città utilizza questo squisito frutto per la realizzazione di piatti tipici.
Il Marzapane o Pasta Reale è, realmente, il principe tra dolci di mandorla. Si prepara con farina di mandorle o, in alternativa, con mandorle non tostare e frullate, e zucchero a velo in parti uguali. All’impasto viene data generalmente la forma di frutta o verdura utilizzando dei coloranti par alimenti (mandarini, fichi, ciliegie, pomodori, mele, uva, pesche, banane …).
Un utilizzo molto diffuso della mandorla è nella preparazioni di torroni e croccanti nei quali il gusto del frutto viene esaltato dal miele degli Iblei (arancia, carrubbo, tiglio, millefiori mediterraneo).
Nelle pasticcerie di Avola si può trovare un dolce tipico di nome “Facciuna”; veniva prodotto nei conventi del circondario dalle monache che utilizzavano mandorle, zucchero, albume, miele, cannella e un po’ di cacao. Vale la pena di assaggiarlo magari accompagnato agli originalissimi “carrubbini” realizzati con un impasto di mandorle, arance e farina di carrubbe.
Una tra le bevande più dissetanti preparata con le mandorle, oltre all’orzata, è il latte di mandorla, una bibita dissetante utilizzata soprattutto nelle caldi estate dei Paesi Mediterranei e, contemporaneamente molto energetica (la mandorla contiene una significativa percentuale di proteine, preziose vitamine del gruppo B1 e B2, ferro e calcio). Si prepara con le mandorle dolci e lo zucchero.
Le mandorle si spellano, dopo averle immerse in aqua bollente, si pestano e si lasciano riposare dodici ore in una terrina coperte da acqua fredda. Dopo aver filtrato il composto con una tela a trama larga si porta il liquido ad ebollizione con lo zucchero per circa dieci minuti. Lo sciroppo va servito allungato con acqua freschissima.
Con il latte di mandorla si prepara anche la granita di mandorla, tipica prelibatezza siciliana della quale si può gustare anche la variante alla mandorle tostate.
Il Biancomangiare è una preparazione dolce e delicata curiosamente tipica di due regioni italiane molto lontane tra loro: La Sicilia e la Valle d’Aosta. Deve il suo nome al fatto che nella composizione prevalgono ingredienti di colore bianco: latte o polvere di mandorle. In Valle d’Aosta il Biancomangiare prende il nome di Blanc Manger e si prepara in due versioni, la prima è fatta con latte di mandorla, la seconda, più elaborata, utilizza il latte di mucca.
In Sicilia il Biancomangiare è un piatto preparato con mandorle tritate, zucchero, amido, buccia di limone, cannella e messa a raffreddare in forme di terracotta. Generalmente viene servito su una foglia di limome, un piacere per gli occhi e il palato. Molto probabilmente il Biancomangiare fu preparato per la prima volta in Francia poiché nei più antichi ricettari è frequente la presenza di termini come: blanche mangieri, balmagier, bramangerè.
Si diffuse in Italia intorno all’XI secolo e viene nominato tra i piatti del celebre banchetto organizzato da Matilde di Canossa per la riappacificazione tra il Papa e l’Imperatore.

MANDORLO IN FIORE: 14 RISTORANTI PREPARANO MENU UNICO

La caponata croccante, vitello in crosta e filetti di pescespada gratinati alle mandorle sono alcuni dei piatti che sara’ possibile degustare nell’ambito della Sagra del Mandorlo a Tavola e fino al 12 febbraio, nei menu di 14 ristoranti dell’Agrigentino aderenti all’Ara, l’Associazione ristoratori Agrigento.
La manifestazione si svolge nell’ambito delle iniziative della Sagra del Mandorlo in fiore di Agrigento. Le mandorle dolci e amare, a granelle, affettate, macinate, pelate, tostate e salate saranno le protagoniste di menu che mirano alla valorizzazione di questo frutto. Un menu completo, composto di antipasto, due primi, secondo di carne o pesce, contorno, dessert, vino e acqua e’ offerto a 25 euro.

FONTE: Ansa

LE MANDORLE DI NOTO A PIU’ QUATTRO

Sono quadruplicati, in quattro anni, dal 2000 al 2004, i quantitativi prodotti di mandorle di Noto, coltivate anche nei comuni di Rosolini e Canicattini Bagni (Siracusa), passando dai quaranta quintali della stagione 1999-2000 agli attuali duecento quintali.
Tale crescita, parallela al numero delle aziende, passate da 4 a 9 e che occupano, durante il raccolto, fino a 30 persone, e’ dovuta sia all’aumento della superficie destinata al mandorleto che a una migliore gestione dell’attivita’ produttiva. Sono tre le varieta’ di mandorle di Noto, Presidio Slow Food, coltivate nelle campagne del Siracusano: Romana, Pizzuta d’Avola e Fascionello. Con la nascita del Presidio e’ stato stilato un disciplinare e i mandorlicoltori si sono riuniti nel Consorzio produttivo Mandorle di Noto.

ALIMENTARE: IL PISTACCHIO DI BRONTE VOLA OLTRE CONFINE

La quasi la totalita’ del commercio del pistacchio di Bronte,uno dei Presidi Slow Food, ovvero il 90 per cento, e’ estero.
I principali mercati di questo particolare pistacchio, che cresce sui terreni accidentati di Bronte (Catania) e ha un colore verde smeraldo brillante e un profumo intenso e resinoso, sono la Francia, la Germania, la Svizzera e la Svezia. L’unico produttore del Presidio, che immette nel mercato circa 150 quintali di pistacchio all’anno, e’ Antonino Caudullo.

ANSA

”Le Nocciole”

Le nocciole, come tutta la frutta secca, sono un alimento molto ricco di grassi. Di questi, la maggior parte sono monoinsaturi. Esse rappresentano quindi una fonte di grassi “buoni”, anche se non apportano una quantità significativa di grassi essenziali, al contrario di altri tipi di frutta secca come le noci.

Le nocciole sono, dopo le mandorle, il tipo di frutta secca che contiene la quantità maggiore di vitamina E. Sono un’ottima fonte di fitosteroli, sostanze ritenute importanti nella prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Il nocciolo è una delle più antiche piante coltivate dall’uomo. Si pensa che sia originario dell’Asia, poiché sono stati trovati manoscritti risalenti a 5000 anni fa che parlano di questa pianta considerata sacra. Anche i Greci e i Romani apprezzavano le qualità medicinali di questa pianta. Il nocciolo ha trovato il suo habitat naturale nel bacino del mediterraneo, infatti i principali produttori sono la Turchia, la Spagna, l’Italia e la Francia.

L’Albero di Pistacchio

Raggiunge un’altezza di circa 6 mt, dotato di radici profonde e un tronco breve e contorto, color grigio brunastro. E’ diffuso in diverse parti del mondo, come Iran e Turchia. In Italia è prevalentemente coltivato in Sicilia, nelle province di Catania (Bronte), Caltanissetta e Agrigento. I semi di pistacchio contengono proteine, olio, sostanze estrattive non azotate e vitamine. Inoltre, sembra abbiano anche discrete proprietà afrodisiche! I frutti sono dotati di valore nutritivo molto alto, e l’apporto calorico è doppio rispetto al burro.

E’ assai pregiato e ricercato anche per il suo sapore aromatico e gradevole: non a caso, infatti, è spesso utilizzato per dolci, gelati e per insaporire molte vivande. L’olio estratto dai frutti è usato anche nel campo della dermatologia per le sue eccelenti doti emollienti e ammorbidenti.
Del pistacchio vengono utilizzate anche le galle (rigonfiamenti) che si formano sulle foglie a causa di un insetto, il “Pemphigus Pistaciae”. Ricche di tannino e note col nome iraniano di “Galle di Bokhara”, sono largamente impiegate nell’industria della concia. Infine parliamo anche del legno del pistacchio, che è di buona qualità e viene impiegato per lavori ornamentali. In Sicilia è apprezzato anche l’infuso di corteccia fresca. Varietà unica al mondo ottenuta da coltivazioni impegnative e faticose.
Le piante fruttificano solo in terreni accidentati. Su queste superfici è impossibile l’impiego di qualsiasi macchina, costringendo alla raccolta a mano, uno per uno, in equilibrio tra i massi di lava nera e un sacco di tela al collo.