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FILIERA MANDORLA

PREMESSA. La sempre più grave situazione in cui versa l’intero comparto mandorlicolo siciliano impone la tempestiva adozione di strategie che impegnino la parte pubblica e l’intera filiera produttiva in incisive ed efficaci azioni di rilancio del settore. Tempestività ed efficacia sono fattori essenziali: la situazione della mandorlicoltura siciliana rischia, infatti, di giungere nel giro di 1 o 2 anni al punto di non ritorno, con la estirpazione degli impianti da parte dei produttori a causa della concorrenza californiana, che sta comprimendo il mercato al di sotto del limite di remunerazione dei costi.
L’elemento, però, che rende questa situazione paradossale è il fatto che i dati del consumo mondiale della mandorla registrano un continuo aumento raggiungendo nel 2007 i 4.300 miliardi di dollari( v. all.1) 1, senza considerare le ancora inesplorate possibilità aperte dai nuovi mercati dei paesi in via di sviluppo . E’ evidente, quindi, che non si tratta di una crisi di sovrapproduzione ma di una inadeguata capacità del comparto mandorlicolo siciliano di uscire dai tradizionali schemi produttivi e commerciali per mettersi al passo con le mutate esigenze del mercato globale.

Una nuova strategia

E’, pertanto, necessario adottare una nuova strategia di rilancio del settore che apra prospettive nuove alla mandorlicoltura siciliana, puntando a contrastare in maniera decisa e tempestiva la concorrenza statunitense non sul terreno dei prezzi ma sul piano della qualità del prodotto siciliano.

Un approccio diverso

Per essere realmente efficace questa nuova strategia deve essere fondata su un diverso approccio metodologico e operativo, che distingua in modo netto le iniziative da adottare distinguendole in : A © azioni da rivolgere al prodotto B © azioni da rivolgere ai produttori e ai trasformatori. Tale distinzione consente, infatti : 1. da un lato, di definire e attuare le azioni di valorizzazione del prodotto siciliano sui mercati regionali, nazionali e stranieri, da realizzare nei tempi più brevi possibili, pena la scomparsa del settore. 2. dall’altro, di definire e attuare le azioni da rivolgere alle aziende dell’intera filiera ( produttori, trasformatori, commercianti, utilizzatori materie prime etc ), con un programma di interventi strutturali e infrastrutturali a breve, medio e lungo termine.

 

L’antico Mondo della pesca del pescespada

“…chissa è nà storia d’un pisci spada storia d’amuri…te pigghiara la fimminedda drittu drittu intra lu cori…e la varca la strascinava…e lu sangu mi curria e lu masculu chiancia…e lu masculu parria ‘mpazzutu…rispunnia la fimminedda cu nu filo e filu è vuci scappa, scappa ammuri miu cà si no t’accitunu…”

Pescespada

Quelle sopra sono le parole celebri della canzone U Pisci Spada di Domenico Modugno, ovvero il pianto più amaro, lo strazio del cuore nel distacco atroce, che dipinge l’antica pratica di pesca del pesce spada diffusa in particolare nello stretto di Messina, tra i venti di Sicilia e i vortici di Cariddi.
La tranquilla attesa dell’equipaggio è rotta all’improvviso dall’avvistamento dell’animale, che ignaro del suo fatale destino, nuota pigramente cullando il suo sogno d’amore.
Inseguito dall’imbarcazione e, non appena sotto tiro, dalla passarella della feluca, il lanzaturi (lanciatore) lancia l’arpione nella speranza che il mortale attrezzo penetri nella preda, rinnovando un rito millenario che gli antichi pescatori messinesi salutavano con una formula magica. La tradizione sta per rinnovarsi: la stagione della pesca inizia a primavera inoltrata.
Dal mese di aprile, fino ai primi giorni di giugno, il pesce spada arriva nello stretto di Messina, costeggiando la Calabria tirrenica meridionale, dove le acque si scaldano prima che altrove.
Dopo il periodo di riproduzione, tra giugno e luglio, torna verso nord, lungo la costa messinese. Non a caso la caccia inizia da metà aprile fino a giugno sulla costa calabra e da luglio a settembre sulla sponda siciliana.
In questi mesi dal mare si sentono arrivare le voci dei pescatori: “Va iusu, tuttu paru camora. Va susu, voca fora, voce ‘nterra!” (verso sopra, sempre dritto per adesso. Verso sopra, rema verso il mare aperto, rema verso terra!) che a bordo delle loro feluche inseguono il prelibato animale, piccola fonte di ricchezza dell’economia locale.
Un progetto chiamato Spaday, a cura della Provincia Regionale di Messina e della Regione Siciliana ha inteso attirare l’attenzione sul mondo marinaro in profonda trasformazione, e sul settore della pesca che contribuisce per circa l’1% al PIL dell’Europa allargata. Inoltre, secondo i dati Istat 2005, la Sicilia detiene il 21% della produzione nazionale con 56.231 tonnellate su un totale di 268.368. Per sottoporre ai riflettori dei media, degli addetti ai lavori e del mondo politico l’importanza di una tradizione da tutelare e rilanciare, andando incontro alle crescenti problematiche degli ultimi pescatori di pescespada di Ganzirri e di Capo Peloro, dallo scorso mese di gennaio è attiva l’associazione Pescatori sullo Stretto, con già 40 aderenti, che unisce idealmente Sicilia e Cariddi con l’obiettivo di far fronte al futuro ed alle molte problematiche legate alla vita in mare.

È IL DECLINO DELLE API.

Api. “Non c’è più alcun dubbio, i risultati della ricerca scientifica indicano l’unica scelta possibile: lo stop definitivo ai concianti “killer” delle api e degli insetti utili”: parola di Francesco Panella, presidente Unaapi (Unione nazionale apicoltori italiani), dal “Congresso nazionale dell’apicoltura italiana” a Saluzzo (Cuneo), fino al 29 gennaio.
Due nuovi studi presentati dall’equipe sulla tossicologia dell’Istituto francese di ricerche agricole (Inra) e dal team di scienziati del Ministero dell’Agricoltura americano, “inchiodano” i neonicotinidi, gli insetticidi utilizzati per la concia del mais, considerati causa del grave fenomeno della moria delle api, che, per il loro effetto, si disorentiano, diventano aggressive, si ammalano e infine muoiono, come già efficacemente dimostrato da “Apenet”, l’apposito piano di ricerca promosso e finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole italiano. Andrea Maroni Ponti del Ministero della Salute, presente al Congresso, ha assicurato l’impegno dell’Italia per la salute degli allevamenti apistici italiani. La nuova proroga allo stop all’uso dei neonicotinoidi in Italia scade il 30 giugno 2012, e, entro quella data, il Ministero della Salute, d’intesa con il Ministero delle Politiche Agricole, dovrà assumere una nuova decisione sui concianti neurottosici del mais. Agli “stati generali” dell’apicoltura italiana in Piemonte, Luc Belzunces dell’equipe sulla tossicologia dell’Istituto francese di ricerche agricole (Inra) ha presentato un impressionante studio da cui emerge l’accertamento di effetti perversi e nel tempo delle molecole neurotossiche: i neonicotinoidi colpiscono subdolamente la vita delle famiglie delle api, ne inceppano i comportamenti vitali e le difese immunitarie, e favoriscono aggressività e sviluppo dei patogeni specifici delle api. Risultati analoghi sono stati finalmente resi pubblici dall’equipe di scienziati del Ministero dell’Agricoltura Usa, incaricata di studiare le cause del “Ccd”, come viene denominato negli Stati Uniti il declino di api e apicoltura. I nuovi risultati scientifici che dimostrano l’effetto dei neonicotinoidi nell’incrementare le normali patologie delle api convergono sia con i risultati di “Apenet”, sia con gli studi del professor Vincenzo Girolami dell’Università di Padova (che ha documentato come si formano abitualmente, alla semina del mais, nubi di polveri tossiche che esplicano l’effetto insetticida colpendo gli insetti anche in volo), sia, infine, con studi francesi e americani già pubblicati. “Apprezziamo e ringraziamo il Ministero della Salute per la celere approvazione di un nuovo farmaco a base di un acido naturale, l’ossalico, per la lotta al parassita delle api, la varroa – sottolinea Francesco Panella – ma non si può tener conto del fatto che, per quanto riguarda i neonicotinoidi, ancora una volta, la scienza si conferma dalla parte delle api”.

Mondello Fish Day

Giorno 27 ottobre a Mondello: “Fish Day”, giornata dedicata al pesce azzurro. L’evento è stato promosso dall’Assessorato Cooperazione, Commercio, Artigianato e Pesca – Dipartimento Pesca nell’ambito dell’iniziativa “Pescato di Sicilia” promuove degustazioni e intrattenimento per riscoprire le qualità organolettiche.
A partire dalle 13:00, nella piazza di Mondello sono state previste degustazioni gratuite dei migliori piatti della tradizione a base di “pescato povero” siciliano, preparati da chef palermitani.
Il tutto accompagnato da vini siciliani. Sono anche state distribuite cartoline con alcune ricette di piatti a base di pesce azzurro, per incentivare la diffusione e la conoscenza di questo tipo di pesce, che oltre ad avere un costo contenuto, vanta anche qualità organolettiche adatte a una dieta salutare, grazie ai loro grassi, ricchi di acidi grassi polinsaturi, soprattutto della serie omega-3, alcuni dei quali sono capaci di abbassare sia i grassi sia il colesterolo nel sangue.
Presenti anche degli operatori della pescaturismo, per promuovere la conoscenza di questa forma alternativa di turismo che valorizza il patrimonio di tradizioni e conoscenze del nostro comparto ittico.

IL PISTACCHIO DI BRONTE E SAGRA DEL PISTACCHIO – 29 SETTEMBRE / 30 OTTOBRE 2007

Ai più risulta più familiare associare al nome Bronte il cognome delle sorelle Bronte e in particolare Emily che tanto lustro hanno dato alla letteratura, ma non molti sanno che un sottile filo rosso (sarebbe più corretto dire verde e vediamo il perché) lega la grande scrittrice alla città di Bronte in Sicilia.
Bronte è una città di 20.000 abitanti che si trova sul versante occidentale del vulcano più dispettoso d’Europa, il Monte Etna, incastonata come uno smeraldo tra i boschi delle pendici dell’Etna, il fiume Simeto e i Nebrodi e collocata all’interno di una Riserva, il Parco Naturale dell’Etna, che possiede un habitat particolarmente adatto allo sviluppo e alla conservazione di quella che è diventata la vera ricchezza, la gemma per eccellenza della città siciliana.
Ma prima chiariamo come mai esiste un legame tra l’Irlanda e la Gran Bretagna e la Sicilia. Nel XVIII secolo, dopo aver appreso che l’Ammiraglio Nelson era stato insignito del titolo del Duca di Bronte (e per chi non lo avesse mai saputo la news fa un certo effetto!), Patrick Brunty o Prunty si innamorò del nome Bronte tanto che pensò di trasformare il suo cognome in Bronte, mettendo una dieresi sulla E finale in modo che in inglese non venisse storpiato, o meglio, pronunciato secondo la fonetica anglosassone.
Le tre figlie di Patrik e di Maria Brauwell che Patrick sposò nel 1812 sono le più note sorelle Bronte che con la loro fama hanno contribuito a diffondere il nome della città in tutto il mondo. Ma non dimentichiamoci dell’Ammiraglio Nelson. Nel dicembre 1789 re Ferdinando I, a seguito dei moti rivoluzionari che sfoceranno nella nascita della “Repubblica Partenopea”, dovette abbandonare Napoli e rifugiarsi, con l’aiuto di Nelson, in Sicilia, a Palermo.
L’anno dopo il re Ferdinando fu rimesso sul trono di Napoli grazie all’aiuto di Horatio Nelson. Ferdinando I in segno di riconoscenza concesse a Nelson in perpetuo l’Abbazia di Maniace, le terre e la città di Bronte che, in precedenza, erano appartenute alla città di Palermo.
Ma perché tra le tante terre che Nelson avrebbe potuto chiedere al re scelse proprio Bronte? Questo non ci è dato di saperlo, possiamo fare solo delle supposizioni: una simpatia di Nelson per il nome della città di origine greco e che vuol dire “tuono”, oppure, molto più verosimilmente, la scelta cadde su Bronte e il suo territorio poiché Nelson si identificò con il mitico Ciclope (Vuole il mito che il ciclope Bronte, figlio di Nettuno, sia stato il fondatore ed il re della città omonima), anche l’ammiraglio aveva infatti perso un occhio qualche anno prima (nel 1794) durante una battaglia.
Con questa breve presentazione della città ci si è soffermati su un paio di curiosità che la riguardano e delle quali non molti sono a conoscenza. Ma Bronte val bene una visita, soprattutto in questo periodo, per ciò che, negli ultimi anni e grazie al successo ottenuto, ha messo in ombra le vicende raccontate, le Sorelle Bronte e l’Ammiraglio Horatio Nelson, per fare brillare la città di luce propria: il Pistacchio, l’oro verde, il vero e proprio Re di Bronte.
Dopo la rivolta di Bronte, uno degli episodi più tristemente famosi seguiti all’impresa dei Mille, fu promossa una trasformazione di una vasta zona agraria e gli antichi pascoli vennero trasformati in pistacchieti.
E impressiona come, tra le forre nere di basalto e tra i rivoli disegnati dalla lava solidificata, possa crescere una qualche forma di vita con un vigore tale da trarne un senso di straordinaria ricchezza che nasce dal contrasto tra la nera lava e la natura che prepotentemente vi si sovrappone.
Durante il mese di settembre, ma solo negli anni dispari, a Bronte si è nel pieno della raccolta dei pistacchi. I contadini colpiscono con delle verghe i rami più carichi e una pioggia di frutti cade sui teli stesi per terra. Ogni due stagioni gli alberi vengono lasciati riposare, le gemme vengono “accecate” affinchè l’anno dopo si ottenga una produzione più abbondante e una qualità migliore. Per il pistacchio questo è un anno sì e per la XVIII volta si svolgerà la Sagra del Pistacchio dal 29 settembre al 7 ottobre, la festa dedicata a questo frutto, ai suoi colori, alle sue varietà, alle sue infinite preparazioni, in polvere o in crema, sui dolci o come condimento per la pasta, un frutto che rende Bronte la prima produttrice nazionale del pistacchio con oltre tremila ettari in coltura specializzata (più dell’80% della superficie regionale coltivata a pistacchio).
Il pistacchio di Bronte è unico, dolce, delicato e aromatico insieme. Ed è anche uno spettacolo quando non è stato ancora staccato dall’albero, con i frutti riuniti a formare dei grappoli e con colori che vanno dal beige rosato, al rosa e al carminio, mentre sotto il mallo, il guscio bianco fa intravedere il la polpa di un verde vivo e brillante screziata di rosso.
La coltivazione del pistacchio risale ad almeno mille anni fa quando la pianta venne importata in Sicilia durante la dominazione araba e si è adattata al clima e al terreno. Gli Arabi hanno fortemente connotato gli usi agricoli e il dialetto dell’isola e questa influenza forte e decisiva si ritrova nel dialetto brontese che chiama il pistacchio Frastuca (da Frastuk che in arabo vuol dire pistacchio) e Frastucara la pianta. Tracce arabe si ritrovano anche nell’arte di preparare i dolci al pistacchio. Arte che fa di Bronte un vero e proprio paradiso per i golosi. In tutta la città sono diffuse pasticcerie di alto livello che mettono in mostra l’oro verde sotto forma di croccanti, torroni, torte, biscotti, fillette, gelato, crepes, liquori al pistacchio. Da qualche anno viene utilizzato dagli chef per la preparazione di pietanze salate alle quali il frutto si adatta perfettamente grazie al suo aroma e al tocco decorativo del colore verde smeraldo.
E il rosa della mortadella non sarebbe lo stesso senza i pezzettini di pistacchio che lo illuminano e conferiscono all’insaccato un gusto unico e del tutto particolare. Secondo una tradizione, poi, il pistacchio porterebbe abbondanza, fortuna e gioie d’amore.
Come per la scorsa edizione anche per la Sagra del Pistacchio del 2007 saranno disponibili circa 100 stand all’interno dei quali i visitatori potranno effettuare degustazioni di prodotti e piatti a base di pistacchio. Gli stand saranno aperti con il seguente orario: domenica 30, mercoledì 3, sabato 6 e domenica 7 ottobre dalle ore 10,00 fino alla chiusura serale; gli altri giorni dalle ore 17,00 fino alla chiusura serale. Anche quest’anno, in occasione della Sagra, l’Amministrazione Comunale organizza i concorsi Miglior Vetrina, Miglior Stand, il Dolce più buono, il Gelato più buono, l’Itinerario gastronomico ed un Concorso Fotografico.

Mandorle e Pistacchi – seguiti passo passo

Seguire ogni passaggio di mandorla e pistacchio dal campo alla tavola. In parole povere, un sistema di tracciabilità che consenta al consumatore di conoscere con esattezza l’origine dei prodotti, anche trasformati, che acquista.
A tal proposito, l’assessorato Agricoltura, insieme alla rete dei Laboratori regionale Asca, alla rete di filiera frutta secca, al Coribia, all’Università di Catania, all’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari di Catania (Icqrf) e ai consorzi di tutela “Pistacchio verde di Bronte”, “Mandorla di Avola” e all’Associazione “Mandorla di Agrigento”, hanno messo a punto un progetto per partecipare al bando nazionale sulla tracciabilità agroalimentare.
Il nuovo sistema di tracciabilità, che si svilupperà su base sia informatica che cartacea, servirà a rispondere alle esigenze di tutta la filiera, produttori – trasformatori – clienti che vogliono conoscere la provenienza del prodotto.
Capita, infatti, sempre più spesso che le produzioni siciliane rimangono in magazzino e vengano vendute a prezzi vili poiché la concorrenza di prodotti qualitativamente sadenti o contraffatti occupa gli spazi delle nostre eccellenze. Il programma, che si svolgerà in tre anni, prevede la mappatura di tutta la filiera, la codificazione dei prodotti, nonché degli operatori commerciali e dei trasformatori, l’informatizzazione del sistema e la predisposizione di un programma gestionale con la tracciabilità on line.
Asca e Icqrf si occuperanno invece della caratterizzazione merceologica, chimica e anche del Dna per riscontrare, specie nei prodotti trasformati (creme, dolci, preparati alimentari), tracce di prodotti d’importazione non dichiarati in etichetta.

Timo, Zagara, Millefiori ed eucalipto a Sortino il miele fa centro

Favorire il processo di costituzione della Filiera mielicola e creare in luogo di valorizzazione del prodotto attraverso programmi di educazione alimentare e del gusto, rivolti in particolare alle giovani generazioni.

Questa l’attività del centro per la promozione del miele ibleo, che sarà realizzato nei locali dell’ex mattatoio comunale di Sorrentino, dopo opportuni lavori di ristrutturazione e adeguamento.

Il miele ha sempre avuto un rapporto privilegiato con l’area degli Iblei: fonti storiche fanno risalire, infatti, la pratica dell’apicoltura a Pantalica già nel 1250 a.C. Ancor oggi nel territorio della provincia, e a Sortino in particolare, opera un alto numero di mielicoltori che vivono ancora un rapporto naturale con l’ambiente.

Produrre miele vuol dire, infatti, da un lato comprendere gli antichi meccanismi che regolano i ritmi delle stagioni e le abitudini delle api, dall’altro affrontare le sfide di mercati più esigenti sul piano della qualità e sempre più competitivi.

E Sortino si offre al mercato con una ricca varietà di miele prodotto: dal timo, esclusivo di questa parte della Sicilia, alla Zagara, dai Millefiori all’eucalipto.

Salone dell’olio – L’Isola strappa l’oro

Anche l’olio siciliano ha superato le aspettative aggiudicandosi, con un primo premio per la categoria “frutteto leggero” e 21 gran menzioni, un terzo dei riconoscimenti assegnati dal concorso Sol d’Oro.

Il merito? Secondo Dino Catagnano, dirigente responsabile per la filiera olivicola dell’assessorato regionale Agricoltura, “l’alta qualità dell’olio siciliano, tornata quest’anno ai massimi livelli, è stata determinata dalla quasi totale assenza degli attacchi della mosca dell’olivo”.

Questo, assieme ad altri fattori concomitanti, come il successo mediatico dell’Isola, la collocazione dello Stand Sicilia proprio al centro del padiglione e il tutto esaurito all’appuntamento annuale con l’enoteca italiana di Siena per la degustazione guidata, hanno reso gli stand degli olivicoltori siciliani particolarmente visitati.

E non solo dal pubblico ma anche da operatori specializzati, anche esteri, con una folta rappresentanza di buyer provenienti da Russia, Giappone e Usa.

Nonché da rappresentanti della stampa specializzata, particolarmente interessati a conoscere le zone d’eccellenza della produzione isolana come i Monti Iblei, il Trapanese e il Val di Mazara.

Probabilmente non tutti i contatti avranno un seguito – conclude Catagnano – ma di certo ciascuno di essi può contribuire a rafforzare l’immagine dell’Isola nello scenario dell’olivicoltura nazionale e internazionale.

La Sicilia punta sulla qualità

Sono già due i presidi di Slow Food per il pescato siciliano ma già altri prodotti sono in sala di attesa. Su 9 presidi Slow Food del Mediterraneo ben 2 sono siciliani. Accanto alla “Masculina da magghia” (acciughe, pescate con rete da imbrocco nel Golfo di Catania da piccole imbarcazioni di pescatori) e al “Sale marino artigianale” di Trapani, che già si sono conquistati il riconoscimento, è in pool position per diventare presidio di Slow Food la “Comunità della sarda di Selinunte”, una qualità che viene pescata sottocosta ed è particolarmente adatta per essere arrostita, ma anche la “Bottarga di Favignana”.

E’ con questi prodotti teste di serie ed altri ancora che il dipartimento Pesca dell’assessorato Regionale alla Cooperazione, ha partecipato, per la prima volta, con un proprio stand allo Slow Fish di Genova con il coinvolgimento di diverse imprese di settore.

Una partecipazione quella della Regione con un proprio stand che ha registrato un notevole numero di visitatori e grande interesse da parte degli operatori verso i prodotti della pesca siciliana.

“La Sicilia, – sottolinea l’assessore alla Cooperazione, Artigianato, Commercio e Pesca della Regione Sicilia, Antonino Bennati, – è oggi la prima marineria d’Italia e quindi ritengo doveva essere necessariamente presente ad un appuntamento quale è lo Slow Fish.

L’obiettivo di questa manifestazione non è solo quello di diffondere una gastronomia del pesce corretta e funzionale alla tutela delle risorse ittiche; ma si vuole anche parlare agli addetti ai lavori del settore, che di tali risorse sono i gestori e custodi”.

Una partecipazione, quella al salone all’educazione alimentare al consumo di pesce e alla salvaguardia della biodiversità, che la Regione Siciliana, fa a pieno titolo visto che ben il 50% di tutta la flotta peschereccia dell’isola ricade nel segmento produttivo artigianale. E ciò, nonostante il peso che la flotta siciliana rappresenta nel contesto nazionale: ben il 23% dei battelli operanti in Italia e il 33% del tonnellaggio impiegato nell’attività di pesca. A fronte di 15.627 battelli italiani e dei 9.487 delle regioni obiettivo 1, la Sicilia ne ha ben 3.733.

Inoltre, la Sicilia nella distribuzione dei battelli per i sistemi di pesca, può contare su un rapporto ancora favorevole ai sistemi artigianali: 549 unità vengono impiegate per lo strascino (lo sfruttamento intensivo delle risorse ittiche dei mari), 78 pelagici, 121 per il tonno, 1.013 polivalenti e ben 1.972 di piccola pesca.

Numerose sono, infatti, le marinerie siciliane che mostrano un elevato livello di dipendenza sociale ed economica dall’attività svolta dalla piccola pesca. Buona parte della piccola pesca opera con attrezzi fissi (reti da posta, palangresi di fondo, nasse) su fondali non strascicabili. Di rilievo in Sicilia anche la flotta “palangriera” per tonno, pesce spada e ala lunga che costituisce il polo produttivo settoriale di maggiore importanza a livello nazionale.

La quasi totalità della pesca è concentrata nei due compartimenti marittimi di Trapani e Catania. Ma l’uso sostenibile delle risorse ittiche passa anche attraverso l’acquacoltura.

E quella siciliana, nell’ambito del sistema nazionale, rappresenta un importante polo produttivo sin da quando nei secoli scorsi, le saline del trapanese venivano utilizzate per l’allevamento di specie marine pregiate. Attualmente in Sicilia i più importanti impianti di specie eurialine sono in provincia di Siracusa, Agrigento e Palermo.

In tutto si contano 3 impianti a terra e 10 impianti in gabbia. Sul versante dell’industria di trasformazione è la provincia di Agrigento ad avere, con 30 unità produttive, il primato sul centinaio di imprese presenti nell’isola. Una forte concentrazione, una cinquantina di imprese, si trovano distribuite nelle province di Palermo e Trapani.

In quest’ultima provincia si lavora prevalentemente il tonno e i gamberi mentre a Palermo e Agrigento il pesce azzurro (acciughe, sarde,sgombri). “La Regione partecipa per la prima volta a questa importante vetrina del mondo della pesca e”, afferma il direttore generale del dipartimento Pesca della Regione Siciliana, Ignazio Marinese, “abbiamo registrato un notevole successo sia di pubblico che per i tanti giornalisti e gli operatori del settore che hanno visitato il nostro stand.

Pensiamo già alla prossima edizione allargando la partecipazione ad altri settori della pesca come l’ittiturismo e il pescaturismo”.

Quotidiano di Sicilia

Martedì 8 Maggio 2007

Sicilia protagonista al Salone dell’olio

Ricchezza del patrimonio genetico autoctono, un clima favorevole, una forte presenza di aziende a conduzione biologica e una produzione a denominazione d’origine protetta in crescita.

Questo il biglietto da visita della Sicilia al Salone internazionale dell’olio extravergine di qualità, un importante momento di incontro e di confronto con i produttori e con i numerosi operatori provenienti da ogni parte del mondo che giungono a Verona per conoscere i due prodotti principi della dieta mediterranea: l’olio extravergine d’oliva e il vino.

La Sicilia conferma anche quest’anno la partecipazione al Salone, che si svolge ormai da 14 anni in concomitanza a Vinitaly e Enolitech, presentando al pubblico veronese la migliore produzione olearia dell’isola.

All’interno del padiglione C, che ospita la manifestazione, la Sicilia occupa uno spazio espositivo di circa 500 metri quadrati all’interno dei quali trovano posto 40 aziende. Filo conduttore dei momenti di comunicazione istituzionale organizzati dal dipartimento Interventi infrastrutturali, tra cui una degustazione guidata in collaborazione con l’Enoteca Italiana di Siena, sarà la variabilità genetica del patrimonio olivicolo autoctono della Sicilia e i riflessi sulla qualità e la diversità organolettica degli oli siciliani.

L’Extravergine prodotto in Sicilia si propone al consumatore con la sua alta qualità, una peculiare variabilità organolettica e una grande adattabilità gastronomica. Con le sue otto varietà principali e una ventina d’interessanti varietà secondarie caratterizzano la produzione dell’Isola, la Sicilia offre al consumatore la possibilità di scegliere per ciascun piatto l’olio capace di esaltarne maggiormente il gusto.

Proprio al fine di presentare in maniera chiara e dettagliata le caratteristiche dei prodotti presenti alla vetrina veronese, l’assessorato ha deciso di presentare una “Carta degli Oli” contenente per ciascuno di essi una scheda sul profilo chimico, fisico e sensoriale. Questa scelta si sposa perfettamente con le iniziative previste nel corso dell’evento che, per l’edizione 2008, prevede accanto al tradizionale concorso internazionale Sol d’oro anche “Il carrello e la carta degli oli extravergine d’oliva”: per tutta la durata dell’esposizione saranno coinvolti alcuni dei più famosi ristoranti di Verona, che presentano i loro menu abbinati agli extravergine che verranno messi a disposizione dagli stessi espositori presenti alla manifestazione.

FONTE: Terrà – Multimediale dell’Agricoltura
Valentina Madonna