La vetrina dei sapori

Il viaggio nel buono è anche coltivare la sostenibilità dello sviluppo rurale per tutelare il pianeta e sfamare chi lo abita

Che cosa è il gusto? Interrogativo non banale quando a Torino si inaugura un evento di portata europea. Interrogativo sul quale si sono misurati i filosofi della classicità fin quando non fu sancita un’artificiosa, almeno così appare a noi gourmet, divaricazione tra il gusto estetico e il gusto organolettico. Tutto rimanda a quella bipartizione tra i sensi alti (la vista e l’udito) e i sensi bassi, appunto l’olfatto e il gusto perché del tatto poco ci si è curati in senso speculativo.
E si è ritenuto perciò che l’arte (la pittura e la musica) avesse ben più gusto del cibo. Fortunatamente del tardo ‘700 e soprattutto grazie a Brillat-Savarin la gastronomia ha ripreso dignità culturale e negli ultimi decenni, per opera almeno in Italia soprattutto di Slow Food, occuparsi del mangiar bene e bere meglio è diventato di nuovo anche esercizio d’intelletto. Sta di fatto che il gusto designa tanto lo stile quanto il senso perché quando mangiamo (e ancor più quando beviamo) in realtà sollecitiamo tutti i sensi. Perciò il Salone del Gusto che giunge quest’anno alla quinta edizione (la kermesse voluta da Carlo Petrini come una rassegna dove i piccoli produttori dei gioielli enogastronomici avessero finalmente una vetrina dalla quale presentare il frutto del loro lavoro ha cadenza biennale) è non solo un grande contenitore di squisitezze, ma soprattutto una concentrazione di idee per occuparsi del buono. Il buono è l’equilibrio tra uomo e natura, il buono è uno sviluppo sostenibile, il buono è ridare protagonismo all’agricoltura attraverso una ri-ru-ralizzazione che ci consenta di mantenere il pianeta e di sfamare la gente che lo popola. Ecco il vero salto di qualità che il Salone del Gusto ha compiuto e la nuova filosofia di Slow Food, che dopo aver sdoganato il cibo e il vino dalla loro minorità culturale, oggi punta a far crescere la consapevolezza che è attraverso il riscatto dell’agricoltura che si può costruire una globalizzazione buona. Ma se questa è la parte teorica del Salone, per i curiosi del buono c’è soprattutto tanto da scoprire, da degustare, da apprezzare. Per dirla con Carlin Petrini: tutti possiamo essere buongustai e il gusto non è affatto un lusso. Nei cinque giorni del salone (la vetrina torinese ospita al Lingotto prosegue dal 21 al 25 ottobre) ci saranno in funzione centinaia di laboratori del gusto dove si impara a conoscere le produzioni rare, ci saranno le esposizioni dove i territori (ecco l’importanza del legame tra ambiente e prodotto) metteranno in campo le loro specialità, ci saranno i mercatini del Buon Paese (i prodotti italiani), del Mondo (con tutte le migliori produzione del pianeta) e dei Presidi (sono i prodotti in via di estinzione salvati da Slow Food), ci sarà il Teatro del Gusto dove i migliori chef a turno cucineranno e insegneranno a cucinare. Un programma sconfinato che prevede l’incontro con le cucine del pianeta (a confronto i desinari di una quarantina di paesi), lo spazio dedicato ad ognuna delle ventitre regioni italiane che consente di fare davvero nel perimetro della Fiera un viaggio di gusto attraverso il paese che conta il più alto numero di Dop, ci sarà la biblioteca del cibo, ci saranno infine le tavole del Gusto. Saranno riservate a chi, non sazio di degustare e di assaggiare all’interno del Salone, deciderà di scoprire Torino (il Salone è allestito in collaborazione con la Regione Piamente e il capoluogo si candida a essere la capitale del buono d’Italia) dove trenta tavole piemontesi offrono ai cultori del cibo cene costruite sui prodotti di territorio. Un’attenzione particolare al Salone del Gusto è dedicata quest’anno al pane, all’olio e al vino ospitato in una enorme enoteca (il più grande wine bar d’Europa) dove oltre mille etichette sono in degustazione. Per un brindisi al buono.

DI CARLO CAMBI

“I Viaggi di Repubblica” Edizione 21 Ottobre 2004

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