TORINO – Dicono che affidando la bozza del discorso da pronunziare sabato a Terra Madre nelle mani della scienziata indiana Vandan Shiva, il principe Carlo abbia sussurrato: «Chissà se piacerà a Carlo Petrini». Il quinto Salone del Gusto comincia con una dichiarata ammissione di potenza: chi avrebbe mai immaginato di arrivare a tanta reverenza per l’«eroe europeo» incoronato da “Time”, dopo appena quattro edizioni e una promozione affrancata dalle logiche del marketing televisivo?Eppure la creatura maxima dello Slow Food, senza la quale probabilmente oggi parleremmo ancora di una volenterosa associazione di buongustai, è davvero diventata una gioiosa macchina da querra, capace di muovere e smuovere pressocchè l’impossibile, dai migliori cuochi del pianeta ai contadini che mai avevano visto un aeroporto prima d’ora, fino ai reali d’Inglilterra.
Una storia fatta di piccoli numeri in crescita: dopo una prima edizione (1996) dai pionieri del gusto e una seconda che già camminava sulle sue gambe (1198), il salone è diventato grande e importante da riempire per intero gli spazi del Lingotto ( che ormai gli stanno stretti), acquisendo il diritto, datato un anno fa, all’appellativo Mostra Internazionale. Così da domani, con il glorioso prologo di Terra Madre, che affiancherà il programma del Salone nei primi tre giorni, a riversarsi nei corridoi del mercato, sulle gradinate del teatro o nei percorsi didattici saranno curiosi, dotti, neofiti, appassionati di ogni età, ceto, appartenenza, uniti nel nome del buon cibo globale, sequendo un percorso che fila dalla malga dell’alta val Brembana, quel del mitico Strachitund, al miglio coltivato dai monaci buddisti sugli altipiani che guardano l’Himalaya.
Nel gioco dei «se fosse», un libro virtuale sul salone dovrebbe intitolarsi «Và dove ti porta il palato». Perchè nulla, nei padiglioni del Lingotto, meriterebbe di essere ignorato. Non il mercato del Buon Paese, dove oltre una dozzina di corridoi monodedicati raccontano, stand dopo stand tutto quello che avreste desiderato assaggiare e non avete mai osato. Non i laboratori, luoghi eletti dalla cultura alimentare, perfetti per imparare con la testa e con la bocca. E nemmeno i teatri del gusto, occasione di assistere da vicino (per noi assagiarle) le creazioni di alcuni tra i più grandi chef in circolazione, dai purissimi sapori mediterranei dell’irresistibile Gennaro Esposito alle sfiziosità basche di Elena Arzak.
Il viaggio all’interno del villaggio globale del cibo, mai tanto dilatato, si spingerà anche oltre le lezioni: quest’anno, infatti, i presidi internazionali si tradurranno in veri e propri menù degustazione nei «bistrò del mondo». Altra novità, quella della della «birroteca», allestita per dare giusta dignità alle produzioni artigianali d’eccellenza, ormai competitive con i vini e come i vini oggetti di abbinamenti gustosi e particolari, dai formaggi al coccolato. Certo, la visita ideale andrebbe pensata in anticipo, consultando il programma sul sito (www.slowfood.it), o quello cartaceo, distribuito all’ingresso. Ma se vi attira l’idea di un percorso «random» non resterete comunque delusi. A patto di selezionare quello che vi offrono, per evitare un’indigestione precoce.
Licia Granello
“La Repubblica” 20 Ottobre 2004