Il Vino siciliano si proietta verso la DOC

IN TEMPO DI CRISI

Proposte per il vino: “Una crisi così non si era mai vista”. Lo dicono i piccoli produttori vitivinicoli dell’Isola., quelli che hanno risentito di più dell’aumento dei costi di produzione e che non hanno avuto la possibilità di recuperare le spese a causa dei piccoli volumi di vendita.
E la crisi si fa sentire anche nelle cantine sociali, che dovrebbero investire in innovazione ma che a stento riescono a fare quadrare i bilanci a fine annata. Così, alla luce di uno scenario a dir poco preoccupante, il governo regionale si rimbocca le maniche e interviene con due strumenti.
Il primo, in ordine di tempo, è l’accordo quadro per l’”Innovazione della filiera vitivinicola” che permetterà alle 22 cantine sociali che hanno aderito di aver a disposizione un supporto in termini di risorse umane e progettualità a costo zero per tre anni. Il secondo è il progetto della “DOC Sicilia”, che dovrebbe permettere la valorizzazione di gran parte della produzione enologica dell’Isola, rappresentata, secondo dati ISTAT del 2007, per il 3,88% da Doc e Docg, per il 29,11% da vini Igt, e per il 67,01% da vini da tavola. “Da agosto cambierà il quadro di riferimento delle denominazioni di origine – precisa Giovanni La Via, assessore regionale dell’Agricoltura – , per questo è indispensabile arrivare preparati al cambiamento con linee guide ben definite”. Ciò anche alla luce del fatto che, con la nuova Ocm, del 31 luglio del 2012 non ci sarà più la possibilità di distillare.

“Una Doc Sicilia in realtà era stata pensata almeno diciotto anni fa – ricorda Antonino Bacarella, docente di Economia dei mercati agricoli all’ Università di Palermo -, solo che è caduta nell’oblio perché le cantine sociali, che producono l’80% del vino siciliano, avevano altri obiettivi”. Oggi la possibilità di un marchio “ombrello” sembra essere più vicina.
“Le cantine sociali hanno compreso che si deve approfittare della notorietà del brand Sicilia in tutto il mondo e che il vino si esporta solo in bottiglia – prosegue l’esperto -, inoltre la Doc può spingere le aziende che hanno una produzione inferiore alle 500 mila bottiglie a fare rete per riuscire ad aggredire il mercato, non quello siciliano, come tendono a fare, ma quelle in cui c’è più spazio e in cui il prodotto made in Sicily viene maggiormente valorizzato”.
Secondo Bacarella, inoltre, “l’obbligo di imbottigliamento nella zona di produzione permetterebbe di creare reddito, occupazione e profitti da reinvestire in innovazione, creando così un circolo virtuoso”. Non solo. A servizio del processo di rilancio, il mondo produttivo può avere a disposizione una serie di studi e ricerche (brevemente descritte nelle pagine successive e disponibili in dettaglio su www.terresicilia.it) avviati dall’assessorato in collaborazione con partner scientifici che operano a livello nazionale.
Dalla zonazione per risalire a quale uva valorizza al meglio il terrori, allo studio dei lieviti e dei vitigni autoctoni. Strumenti diversi, dunque, ma che hanno lo stesso obiettivo: permettere la ripresa della vitienologia di Sicilia. Un’isola che con circa 120mila ettari di superficie dedicata per il 90% concentrata nelle province di Trapani, Agrigento e Palermo – si colloca tra le regioni italiani con il più alto patrimonio vitivinicolo, e che con una presenza al Vinitaly 2008 di Verona pari a 247 aziende dimostra di volere puntare anche sulla promozione per il suo rilancio.
In linea con lo stesso Ocm vino che destina, proprio per le attività promozionali, un importo complessivo di 10 milioni di euro nel 2009, destinati a diventare 39 milioni nel 2010 e 52 nel 2011. Ciò per non dimenticare che la ricerca della qualità deve essere finalizzata al mercato e, dunque, ai consumatori.

FONTE: Terrà – Il Multimediale dell’Agricoltura
Febbraio/Marzo 2009

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