Category Archives:Formaggi

FORMAGGI. IL SAPORE DEI PASCOLI

Il formaggio oggi fa tendenza. L’aver assaggiato il marchigiano Ambra di Talamello o il campano Caciocavallo Podolico o il Ragusano, diventa quasi uno status symbol culturale o, se vogliamo stare coi piedi per terra, semplicemente dimostra una conoscenza gastronomica di non trascurabile consistenza. Insomma, un biglietto da visita pari a quello di un esperto di musica classica o di teatro greco o di letteratura gialla o di quant’altro vi passa per la mente.
Dissertare della suadenza di un lombardo Bagoss, della lunghezza aromatica di un Fiore Sardo, dell’erborinatura di un Gorgonzola piccante e paragonarli, tutti insieme, ad un Abondance francese, ad un Queso Manchego spagnolo, ad uno Stilton inglese, fa di una persona un personaggio, pur nel piccolo della sua cerchia di amici e conoscenti. Ma tant’è, la ricerca del proprio io passa anche attraverso questi sentieri. E a noi, cultori della cultura materiale e popolare, questo aspetto non ci dispiace affatto. Se siamo intelligenti, non ci resta che fare un po’ di autoironia e continuare a sbocconcellare il nostro formaggio, abbinandolo ad un vino di razza e all’altezza dell’incontro.
Popolare, in un formaggio, può significare all’inizio la sua tecnologia di produzione, condotta con mezzi essenziali e spesso di fortuna, se pensate ai caci di monte. Per il degustatore, popolare può significare l’odore dei formaggi, anzi la complessa evoluzione olfattiva della sua maturazione. Si tratta di percezioni intriganti, lattee e burrose nel prodotto fresco, grasse e pungenti nel prodotto stagionato. Ma non solo. Le sensazioni olfattive ci riconducono al territorio, nel caso in cui il latte di partenza è crudo, non pastorizzato. Pensate alle percezioni di muffa, di terra bagnata, di sottobosco fradicio, che accompagnano il profilo sensoriale di molti formaggi delle Alpi, ovvero del Nord Italia, e raffrontateli con i profumi di erbe aromatiche secche, di pepe e di cappero, di salino e di mandorla dei prodotti caseari del Sud e delle isole.
E poi le paste così diverse: crude al Nord, cotte e filate al Sud. Ce n’è da scrivere un trattato. Soffermiamoci – in primo luogo – sul “Ragusano”, questo splendido formaggio prodotto sui monti Iblei con latte di razza Modicana: i profumi del pascolo te li ritrovi tutti, provenienti dalle specie foraggere aromatiche, tra le quali in prevalenza il timo selvatico.
Il Ragusano è a pasta filata dura ed ha una forma parallelepipeda a sezione quadrata con al centro alcuni solchi dovuti al passaggio delle corde di sostegno durante la prima fase di stagionatura. Infatti, le forme maturano a coppie, legate fra di loro e appese ad un palo, nelle fresche cantine. Con un peso oscillante tra i 12 e i 16 chilogrammi, ha una pasta compatta e dolce da giovane, piccante e saporita se stagionato. Su questo caciocavallo e sul suo territorio è da citare quel sorprendente libro fresco di stampa, “Il Ragusano. Storie e paesaggi dell’arte casearia”, fotografato con l’occhio attento e appassionato di Giuseppe Leone e scritto da diversi autori, Francesco Amata, Giuseppe Licitra e Diego Mormonio.

Da www.sicilynews.com

Formaggio, il Ragusano è al top; produzione cresciuta del 750%

Il formaggio Ragusano a passo di carica. In tre anni la produzione è passata da cento a 750 quintali; e cresce anche il numero dei produttori: erano 14 nel Duemila, sono ben 35 adesso. I dati sono quelli del Corfliac, il Consorzio di ricerca per la filiera lattiero-casearia di Ragusa, voluto e finanziato dall’assessorato regionale all’Agricoltura, che oggi svolge anche il delicato compito di ente certificatore del marchio Dop, ovvero l’ufficio che decide se un formaggio ha tutti i requisiti per ottenere il timbro che lo consacra a Denominazione di origine protetta.
Compito che tra l’altro il Corfflac continua a svolgere normalmente smentendo le notizie diffuse ieri e relative alla sospensione del marchio Dop per il Ragusano per volontà del ministero delle Politiche agricole. I dati elaborati dal Corfilac non solo confermano l’ottimo stato dì salute di uno dei due formaggi siciliani Dop (l’altro è il Pecorino ma le aziende che hanno ottenuto il riconoscimento sono ancora molto poche) ma descrivono un settore in forte crescita. Aumentano anche le esportazioni e l’alta qualità viene premiata anche dalla migliore remunerazione per gli stessi casari.
Tuttavia questo formaggio ottenuto con latte bovino e dalla caratteristica forma a parallelepipedo, che può essere prodotto solo in provincia di Ragusa e nei territori dei Comuni di Noto e Rosolini, oggi deve affrontare due sfide: da un lato l’obiettivo che il Cosacavaddu, formaggio che ha caratteristiche simili ma periodi di produzione diversi e non segue le regole del disciplinare diventi sempre più Ragusano Dop. Dall’altra il tentativo di inserire nelle fasi di produzione l’uso di strumenti in acciaio a discapito del legno e dei sistemi tradizionali e di consentire modifiche anche all’alimentazione dei bovini dal cui latte si produce il formaggio, consentendo l’utilizzazione dell’insilato, ovvero foraggio fermentato. Sul primo aspetto parla il presidente del Corfilac Giuseppe Licitra: «Secondo i nostri studi – dice – il valore delle produzioni di Ragusano Dop rispetto al Cosacavaddu porta ad un valore aggiunto dal produttore al dettaglio che va dal 27 al 43 per cento.
Un margine di guadagno di grande rilevanza economica, considerato che non sono necessari investimenti particolari per passare dal Cosacavaddu al Ragusano Dop; serve solo una scelta strategica gestionale che impone l’obbligo di rispettare il disciplinare con costi insignificanti». Sull’uso dell’acciaio nelle fasi di produzione la battaglia è in corso e naturalmente il Corfilac ha manifestato qualche dubbio. Aggiunge Licitra: «La forza del Ragusano sta anche nella sua tradizione e nella sua tipicità. Temiamo che il passaggio a strumenti diversi da quelli tradizionali potrebbe svilire il formaggio stesso, aprirebbe le porte alla massificazione del prodotto a discapito della qualità. Ma il Ragusano è tale finché rimane un prodotto artigianale». E proprio oggi nella sede del Corfilac di Ragusa sarà dichiarata aperta la campagna casearia 2004-2005 con prospettive ancora più interessanti mentre l’anno corso potrebbe chiudersi con una produzione di circa 1.200 quintali. Un bel record nel nome della Buona Sicilia.

“Giornale di Sicilia” 20 Novembre 2004

Un Mito di Formaggio

Storia e tradizioni del Pecorino Siciliano, lavorato oggi come centinaia di anni fa

La Sicilia è un’isola bellissima e ricca di sole che affascina per il clima, il paesaggio, la storia e le tradizioni. Nei secoli, numerosi popoli l’hanno conquistata e amata. I Greci le hanno dato il nome di Trinacria, isola a tre punte. Dopo un breve periodo di dominazione cartaginese, sono arrivati i Romani e l’hanno fatta diventare la prima provincia dell’Impero. In seguito è stata territorio degli Arabi, dei Normanni e degli Aragonesi. Un passato lungo e travagliato che ha lasciato tracce evidenti nella storia, nella cultura, nell’architettura e nel linguaggio.
Un tempo il territorio era famoso per le grandi distese di fiori, ricco nutrimento per le api che producevano un ottimo miele. Oggi le colline sono ricoperte di uliveti e vigneti, ma anche di profumati mandorli ed erbe aromatiche. Queste ultime sono uno dei cibi preferiti dalle pecore e dalle mucche che pascolano sui prati. Anche per questo il latte, qui, ha un gusto così ricco e particolare che, da millenni, ha favorito la produzione di squisiti formaggi entrati a far parte della tradizione siciliana. Il Pecorino Siciliano è l’unico formaggio prodotto tutto l’anno e apprezzato in tutta la Sicilia. Quello che mangiamo oggi non è diverso dal Pecorino prodotto secoli fa con il latte di pecora, perché non sono cambiati i metodi di allevamento degli animali e le tecniche di lavorazione sono le stesse di un tempo.

Lunghi secoli di storia
E’ riconosciuto dagli storici come il più antico formaggio dell’isola. La sua nascita corrisponde all’arrivo delle pecore in Sicilia e al loro addomesticamento. Anche Plinio il Vecchio, nella sua opera Naturalis Historia, lo inserisce nella lista dei formaggi fatti in Italia e tra i migliori pecorini cita quelli provenienti da Agrigento. La Sicilia si trova in un’ottima posizione all’interno dei flussi commerciali che attraversano il Mediterraneo. Già anticamente questo le ha permesso di ricevere, sulle proprie coste, ospiti dalla Grecia e dai paesi che si affacciavano sul mare beneficiando, così, delle molteplici influenze di popolazioni di varia origine. Anche per questi motivi, in Sicilia si è diffusa la tradizione che vedeva nella trasformazione del latte per ottenere formaggio, una delle maggiori risorse alimentari per la popolazione. Alla storia si mescola il mito tramandato attraverso le pagine dell’Odissea, scritta da Omero, e che racconta di un viaggio fantastico. Il protagonista, Ulisse, arriva sulle coste della Sicilia e incontra Polifemo, il gigante con un occhio solo, che “seduto mungeva a turno le pecore e le belanti capre e, rese le madri agli agnelli, fece cagliare una metà del latte e lo pose in canestri luccicanti”. Insomma, Polifemo è un vero e proprio pastore e casaro che alleva pecore e produce un formaggio che possiamo definire come l’antenato del Pecorino Siciliano come lo conosciamo oggi.

Un tipo per ogni gusto
In Italia esistono diverse tipologie e varietà di formaggi chiamati pecorino, fatti con varie percentuali di latte di pecora. I grandi Pecorini Dop, cioè garantiti dalla Denominazione di origine protetta e tutelati da un severo disciplinare, sono il Pecorino Romano, il Pecorino Sardo, il Pecorino Toscano e, infine, il Pecorino Siciliano. Ogni tipologia ha caratteristiche diverse che dipendono dal luogo e dal periodo di produzione, dalla percentuale di grasso presente nel latte, dall’alimentazione degli animali e dalla differente stagionatura. In Sicilia, le pecore vengono allevate allo stato brado, sfruttando i pascoli naturali. La pastorizia tradizionale ha una grande importanza per la società e l’economia locale. Attraverso questa attività, infatti, si tenta di combattere l’abbandono delle aree agricole e dei campi da parte della popolazione più giovane. Il periodo migliore per la produzione è compreso tra i mesi di novembre e maggio. In maggio, le pecore vengono tosate e trasferite dalle stalle su in montagna. All’inizio dell’estate, però, le pecore sono gravide e per cinque mesi non producono quasi più latte. In commercio ci sono vari tipologie di Pecorino Siciliano a seconda del tempo di stagionatura: quando la pasta è ancora fresca e non salata ha il nome di Tuma, dopo la prima salatura prende il nome di Primo Sale, mentre con la seconda salatura e almeno 20 giorni di maturazione si chiama Secondo Sale. La Tuma ha un gusto dolce e lievemente acidulo-aromatico e viene usata per farcire piatti da forno, come la pasta “ncaciata” o per impreziosire un semplice fritto con uova, ventresca, guanciale ed eventualmente asparagi, germogli teneri di Sinapis selvatiche o altro. Il Primo Sale è un formaggio da tavola di lieve salatura ed è pronto per essere mangiato dopo il 10° giorno di produzione. Il Secondo Sale, vale a dire il Pecorino Dop, a Denominazione di origine protetta, invece, deve avere una stagionatura non inferiore ai 90 giorni. E’ un formaggio gustoso e saporito, ottimo da solo e da grattugiare. E’ utilizzato in prevalenza da grattugia e viene prodotto anche in una versione detta Pipatu, con l’aggiunta di granelli di pepe. Durante la lavorazione, infatti, si aggiungono granelli di pepe nero che danno un aroma forte e speziato. E’, tra l’altro, un formaggio dai vari nomi, conosciuto anche come canestrato, maiorchino, marzolino.

Sicilia: vino di antica tradizione
Vino e formaggio sono un ottimo abbinamento perché riescono a esaltarsi l’un l’altro. Hanno anche molte caratteristiche in comune. Li lega, infatti, l’appartenenza a un territorio ben specifico, che determina le loro caratteristiche: innanzitutto il clima e poi il terreno che influenza la qualità delle uve e l’alimentazione degli animali che producono il latte. Inoltre vino e formaggio sono entrambi sottoposti ad un processo di trasformazione: la fermentazione alcolica per il vino e la cagliatura per il formaggio. Infine sono prodotti con tecniche agricole tipiche della tradizione locale e della cultura del luogo di provenienza. Nella scelta del vino da abbinare occorre tener conto delle caratteristiche del formaggio. Il Pecorino Siciliano, prodotto con latte intero di pecora, ha crosta gialla, pasta bianca, odore pungente e sapore piccante che aumenta di intensità con la stagionatura. Esistono diverse varianti in base all’aggiunta, o meno, di pepe nero o, raramente, rosso. Il Pecorino Siciliano è un ingrediente fondamentale per alcune preparazioni tipiche dell’isola. Il vero matrimonio si realizza, però, con una semplice fetta di pane, olio extravergine e olive verdi. Per gustare il gusto pieno e ricco di questi piatti, ma anche per assaporare la semplice bontà di un pezzo di formaggio, non c’è niente di meglio di un buon bicchiere di vino. Occorrono vini rossi di buona struttura, dotati di un profumo ricco e abbastanza giovani. La viticoltura siciliana è ricca di preziose proposte. I vigneti sono tenuti al riparo dal vento che, spesso, soffia senza tregua, grazie al sistema di coltivazione ad alberello che tiene la pianta bassa, proteggendola dai venti impetuosi e potenzialmente dannosi. Le uve, inoltre, traggono nutrimento da un terreno ricco di sostanze ideali per la produzione di vini di elevata qualità. Dal panorama vinicolo siciliano scegliamo un Cerasuolo di Vittoria Doc, prodotto nelle province di Ragusa, Caltanissetta e Catania. Deriva dall’unione di uve frappato, nerello e calabrese, coltivate su terreni di natura calcarea e argillosa. Mediamente i terreni si trovano a 250 metri sul livello del mare e la vendemmia viene fatta a fine settembre. In passato, il Cerasuolo di Vittoria si conquistò notevole fama. Purtroppo, agli inizi del Novecento la sua produzione diminuì a causa dell’abbandono dei vigneti per privilegiare coltivazioni più redditizie, come agrumi e ortaggi. Solo negli anni Settanta, con la nascita del Consorzio di tutela, si è dato il via a un progetto di valorizzazione del vino. Oggi possiamo quindi gustarci il suo colore rosso ciliegia, il profumo fruttato di melograno e ciliegia e il sapore intenso e duraturo. Un altro abbinamento perfetto si realizza con un Etna Rosso Doc, ottenuto da uve nerello mascalese e nerello cappuccio, coltivate ad un’altezza di circa 500 metri sul livello del mare. I vigneti sono distribuiti lungo la fascia che circonda l’Etna, fino al limite dell’area lavica, e beneficiano, quindi, di un terreno vulcanico ricco di sostanze minerali. A partire dal Settecento i vini dell’Etna conobbero un periodo di grande successo. Venivano, infatti, spediti al Nord, in Francia e in Italia, per correggere i difetti dei deboli vini settentrionali. Dal secondo dopoguerra avvenne la svolta grazie a una modifica nel gusto dei consumatori che iniziarono ad apprezzare anche i vini siciliani. L’Etna Rosso ha un colore rosso rubino con riflessi violacei, profumo di vaniglia e frutta, come lampone e mora, sapore morbido e piacevolmente acido. Ottimo anche in Sicilia Igt Nero d’Avola, fatto con il famoso vitigno a bacca rossa della Sicilia, il nero d’Avola, coltivato lungo una fascia che taglia a metà l’isola, e va dalla costa tirrenica fino a quella del canale di Sicilia. La viticoltura ha, in quest’area, origini antichissime. Esistevano, infatti, vigneti già nel 400 avanti Cristo anche se le prime notizie certe risalgono al Medioevo. Il vino ha colore rosso rubino intenso, profumo di erbe aromatiche e sapore asciutto e pieno.

Settembre 2004 “Il mio vino”

Tutti i segreti della provola

CACIO & STORIA
Non si può rinunciare, in gita sui Nebrodi, a fare scorta del formaggio storico di quella zona, quella provula che viene prodotta da secoli con tecniche antiche e totalmente artigianali.Provola dei Nebrodi

La provola tradizionale dei Nebrodi avrebbe avuto origine a Floresta, il comune più alto della Sicilia (1.275 metri): un luogo che non conta neppure mille anime ma in tutta l’Italia gastronomica è diventato celebre per la qualità del suo formaggio.

Lo storico Antonino Uccello nel suo libro “Bovari, pecorari e curatuli” ha raccolto testimonianze di vecchi casari sul mantenimento delle antiche tecniche di produzione di questo formaggio.

Nella zona dei Nebrodi è usanza antica apportare una variante alla produzione della provola, destinando la tuma alla produzione di deliziosi cacetti figurati (a forma di cavallo e di altri animali), che furono esposti alla Mostra etnografica siciliana di Palermo nel 1892. Si produce con latte vaccino intero e crudo, ottenuto da bestiame allevato al pascolo, che appena munto viene cagliato con caglio di capretto o agnello non svezzato, quindi mescolato aiutandosi con uno speciale bastone (la manuvella).

Tolta la pasta e messa in un canestro di giunco, la si lascia riposare per poi cuocerla nel siero caldo: raffreddata che sia, si livella su un tavolo, quindi si pone un grosso peso per 3-4 ore. La schiacciata così ottenuta viene quindi tagliata a strisce e appesa su un’asse ad asciugare.

Asciutta, si taglia ancora a fette, quindi si rimescola nel siero: la pasta è modellata a mano nella classica forma a pera e lasciata in salamoia per il tempo necessario.

Appesa, è pronta già dopo una settimana. Qualcuno inserisce nell’anima della provola un limone verdello intero, che conferisce al formaggio un delicato profumo di agrume.

Supplemento di Palermo “La Repubblica” 08/04/2004

La Forma del Sapore

Conosciuto come Scaluni o Quattrofacce
il caciocavallo Ragusano è tipico della Sicilia.
Scopriamone insieme storia e tradizioni

Se qualcuno ci parla di caciocavallo subito ci viene in mente il formaggio dalla forma a fiaschetto, lunga e arrotondata. Questo, però, se non abitiamo in Sicilia, perché in quest’isola, per antica abitudine, lo si fa in grosse forme squadrate, a forma di parallelepipedo, e prende il nome di Caciocavallo Ragusano. È talmente diffuso che nel dialetto locale c’è persino un proverbio che lo usa come esempio. Per descrivere una persona falsa o poco coerente, infatti, si usa l’espressione avere quattro facce come un caciocavallo. Il caciocavallo Ragusano si ottiene esclusivamente da latte di mucca ed è conosciuto anche con il nome di Quattrofacce, per la somiglianza con un mattone, o Scaluni, per la particolare forma a scalino.

Ragusano Dop StagionatoHa un sapore intenso che deriva dalle caratteristiche specifiche della zona in cui è prodotto, ricca di sole, erbe aromatiche ed essenze che regalano al latte un profumo e un gusto straordinari. È un formaggio tipico siciliano, prodotto nelle province di Ragusa e Siracusa. Il nome Ragusano deriva dalla zona di produzione, mentre il termine caciocavallo proviene dall’espressione dialettale siciliana a cavaddu, che significa a cavallo. Questa espressione è usata per descrivere il modo particolare in cui questo formaggio viene messo a stagionare: si legano, infatti, le forme a coppie con delle funi e poi le si lascia maturare a cavallo delle travi di legno.

L’origine storica
Il Ragusano è uno dei formaggi più antichi della Sicilia e già nel 1300 veniva commerciato al di fuori dell’isola. Nel 1800, in seguito alla grande emigrazione di italiani in America, trovò successo anche Oltreoceano. Le famiglie siciliane, infatti, non volevano privarsi di questa prelibatezza e la facevano venire direttamente dall’Italia.

Rappresentava un messaggero della patria, qualcosa della terra e della casa da cui erano separati. La strada verso l’America modificò anche le dimensioni delle forme. Quando agli inizi del 1900 le richieste degli immigrati negli Stati Uniti aumentarono, per facilitarne il trasporto si decise di passare dalla pezzatura di 7-8 chili a forme intorno ai 15-18 chili. Oggi il Ragusano, grazie all’attività delle strutture cooperative e del Consorzio, è un asse portante dell’economia siciliana e da semplice formaggio della cucina tradizionale siciliana si è trasformato in prodotto di pregio della realtà gastronomica italiana.

I meravigliosi Monti Iblei
Le province di Sicilia e di Ragusa, grazie alle caratteristiche uniche dei prati e dei pascoli, danno vita a un formaggio inimitabile. Il Ragusano è il frutto di un equilibrio tra diversi fattori, seguiti con cura e maestria dal casaro. Ogni piccolo cambiamento nell’alimentazione, nelle caratteristiche climatiche o nella lavorazione influisce sul prodotto. La realizzazione del Ragusano Dop non può essere lasciata al caso o all’inesperienza, perché è il magico frutto di tradizioni antiche, anni di esperienza e piccoli segreti. La migliore produzione è quella che va da novembre a maggio, vale a dire i mesi in cui i pascoli offrono una notevole varietà di erbe. Le mucche pascolano sulle colline della zona di produzione e traggono tutto l’alimento proprio dai pascoli dei Monti Iblei, nella parte meridionale dell’isola. Attorno alla provincia di Ragusa, i pascoli sono ricchi di essenze ed erbe aromatiche che danno al latte e, quindi, al formaggio un gusto unico.

Le vacche trovano nei pascoli una ricca varietà di erbe, tra cui trifoglio, cicoria e camomilla selvatica. A queste si aggiungono quelle contenute nel fieno, preparato con attenzione dagli allevatori che mettono insieme erba medica, avena e orzo. Il fieno, anche se viene essiccato, conserva intatti i principi attivi dell’erba fresca grazie a un particolare trattamento. La preparazione del fieno segue ritmi antichi che prevedono un giorno preciso per la mietitura, un breve periodo di essiccamento al sole e poi la realizzazione delle balle da trasferire nei capannoni. L’allevamento bovino è uno degli elementi portanti dell’economia ragusana e ha raggiunto notevoli livelli di sviluppo grazie alla pazienza e alla cura degli allevatori. Il Disciplinare di produzione prevede che possa essere utilizzato il latte di tre varietà di mucche: Bruna alpina, Frisona italiana o Modicana. Particolarmente pregiato è il Ragusano ottenuto dal latte della vacca Modicana, una razza rustica locale, dal mantello rosso. La Modicana ama pascolare allo stato brado sui prati dell’altopiano, brucando le erbe aromatiche selvatiche, tra cui primeggia il timo selvatico che regala al formaggio un gusto delicato e un aroma particolare.

Questa razza rischia, però, l’estinzione. Infatti, è una razza difficile perché fa pochissimo latte, non vuole stare in stalla ma preferisce pascolare libera e assaporare la varietà dei prati, anche se si adatta a mangiare il fieno. Inoltre, per mungerla, bisogna tenerle il vitellino a fianco. Per tutti questi motivi, allevarla richiede una estrema passione e la ferma volontà di fare fatica e affrontare alcuni sacrifici, ricompensati da un latte ricco di proteine e con un maggior contenuto di caseina, indispensabile per il processo di produzione del formaggio. Il marchio Dop, Denominazione di origine protetta, che il Ragusano vanta, dimostra che le qualità specifiche di un determinato prodotto sono legate alla regione da cui proviene e garantite dal Consorzio. La tutela della zona di origine e delle fasi di lavorazione è l’impegno preciso del Consorzio che su ogni forma di Ragusano imprime il proprio marchio. Quindi può fregiarsi della denominazione Ragusano solo il formaggio realizzato nel rispetto del Disciplinare che impone precisi standard produttivi, particolare alimentazione per le bovine e norme di utilizzo del marchio.

Sicilia, terra di vino
Il Ragusano viene lavorato in Sicilia ed è interessante pensare ad abbinamenti con vini originari della zona che garantiscano il rispetto per la tradizione locale. L’isola è punteggiata di numerose colline su cui si adagiano i vigneti che danno origine a vini profumatissimi. Per la sua posizione gode di tutte le caratteristiche tipiche della fascia mediterranea temperata e vanta una tradizione vitivinicola antichissima. Già nel 1600 avanti Cristo gli scrittori descrivevano i vini siciliani e questi vini occupano oggi un posto di rilievo nella produzione nazionale. Per assaporare appieno il gusto morbido e piacevole del Ragusano consigliamo di mangiarlo da solo, dopo pranzo oppure come ingrediente degli straordinari piatti della cucina siciliana. Il suo grado di stagionatura influenza la scelta del vino.

Abbiamo, dunque, scelto di proporre degli abbinamenti con il vino pensando al Ragusano di media stagionatura, da consumarsi da solo come formaggio da tavola. ideale è un vino rosso ben strutturato, con un’alcolicità che va dal 12% al 13,5%. Non serve un vino particolarmente invecchiato ma un vino molto aromatico, con note di frutta matura e confettura rossa. Requisito importante è la capacità di regalare sensazioni di freschezza che creino una leggera astringenza sul palato.

Un vitigno, molti vini
Della tradizione vitivinicola siciliana fa parte, a pieno titolo, il nero d’avola, il più grande vitigno a bacca rossa di tutta la Sicilia. Le sue caratteristiche si sposano alla perfezione con il Ragusano. Ha colore rosso rubino intenso e uno squisito profumo di erbe aromatiche che sa accendere il gusto del formaggio, riuscendo a non coprirlo. L’elevata quantità di zucchero contenuta in quest’uva consente di ottenere vini di alta alcolicità, grazie alla quale si riesce a sciogliere la sensazione di salata pastosità lasciata in bocca dal Ragusano.

Il nero d’avola si esprime al meglio se abbinato con vitigni di altre regioni d’Italia, come ad esempio il sangiovese, o con una mescolanza di vitigni internazionali come merlot, cabernet e syrah, comunque sempre coltivati in Sicilia. La notevole quantità di vini che ne derivano non hanno sempre una denominazione specifica e trovarli nei negozi può diventare una appassionante caccia al tesoro. possiamo infatti cercare sulla controetichetta della bottiglia l’elenco degli uvaggi contenuti o, eventualmente, chiedere al negoziante. Quella che all’apparenza può sembrare un’impresa difficile, ci farà scoprire le meravigliose varietà di vini di cui la Sicilia è ricca. A seconda del vitigno con cui è destinato a unirsi, il nero d’avola riesce a dar vita a numerose combinazioni di profumi e sapori.

Il matrimonio con il sangiovese, il vitigno rosso più coltivato in Italia e tipico dell’Emilia Romagna, dà al vino un profumo di viola, sapore asciutto e gradevolmente amarognolo. Un’altra unione riuscita è quella con il merlot che sa adattarsi alla coltivazione in qualunque tipo di terreno. Questo vitigno aromatico sa trasmettere al vino piacevoli profumi di erba fresca. Oltre a quelli citati, la Sicilia offre altri vini perfetti per il Ragusano e che si ottengono dal vitigno nerello. È poco famoso ma molto diffuso in Sicilia per la sua elevata resa, ha grandi grappoli e acini di colore blu chiaro. Anche in questo caso sono numerose le varianti e le combinazioni: noi suggeriamo vini di nerello mascalese, nato sulle pendici dell’Etna, soprattutto se combinato con un altro vitigno locale abbastanza diffuso: il nerello cappuccio.

Gennaio 2003 “Il mio vino”

Mi piaci, piacentinu

ENNA. Un progetto per la valorizzazione del “piacentinu ennese” é il titolo del convegno che il 24 febbraio ha dato ufficialmente il via alla campagna di promozione del tipico formaggio dal caratteristico colore giallo zafferano. L’incontro – organizzato dalla Provincia Regionale di Enna, il Consorzio per la tutela del piacentinu ennese e il CoRFiLac, il consorzio per la ricerca lattiero casearia – è la seconda tappadi questa campagna. Giorno 11 febbraio è stata infatti presentata al Ministero delle risorse Agricole, Alimetari e Forestali la richiesta per la Dop, denominazione origine protetta.
Ma le radici del Piacentinu affondano nella storia di questa provincia fino ad interpellare i suoi dominatori. “Una leggenda vuole infatti che Ruggero il Normanno, intorno all’anno 1090, preoccupatoper la consorte Adelasia prostrata da un’invincibile depressione, invitasse i casaridel luogo a preparare un formaggio che avesse doti curative – racconta Andrea Scoto, responsabiledell’ufficio agricoltura della Provinciadi Enna – Da qui sarebbe nata l’idea diaggiungere al latte di pecora una manciata di “crocus satiuvus”, il comune zafferano, una spezia già nota nell’antichità per le sue qualitàantidepressive ed energizzanti”. Il Piacentinu ennese si prepara seguendo la tecnica di produzione del formaggio pecorino. Con una particolarità in più: durante le fasi di lavorazione viene aggiunta alla cagliata una manciata di zafferano che ne esalta il gusto rendendolo un formaggio pregiato che viene per lo più prodotto su ordinazione. “È un formaggio a pasta dura, semicotta, con crosta canestraia giallo oro – prosegue Scoto– il Piacentinu ha una pasta che può esseretenera o semivitrea, di colore giallo oro con presenza di lieve occhiatura formata dai grani interi di pepe nero”. Come ogni leggenda che si rispetti anche quella del Piacentinu è ricca di riferimenti storici che legano questo prodotto al suo territorio. Lo storico Gallo in una pubblicazione, che risale al IV secolo d.C., fa cenno all’aggiuntadello zafferano al formaggio. Se poi si analizza con attenzione il nome di questo formaggio si potrebbe anche pensare che le sue origini risalgano all’anno 859 e forse ancoraprima. “Questo è infatti l’anno in cui gli arabisi impadronirono della città mutando il nome di “Henna” in “Castrum Hennae”, Castrogiovanni, e che di conseguenza quel fantasioso pastore che la leggenda vuole che un giorno colorò di giallo la cagliata con una manciata di zafferano, potesse essere un sicano, un siculo, un greco o forse un romano che abitava l’Henna, il più antico dei cosiddetti «monti dellalana»”. Tornando ai nostri giorni, la storia del Piacentinu ennese sta ora per vivere una tappa fondamentale. Attraverso l’attività di coordinamento,promozione e divulgazione svolta dalla Provincia di Enna, grazie anche all’impegnodei produttori e dell’Associazione degliallevatori di Enna e al sostegno dell’AccademiaItaliana della cucina, da questo gennaio è partito il progetto per la qualificazione dei formaggi ennesi, soprattutto dei pecorini che ottengono sempre maggiori consensi a livello nazionale. “Il Piacetinu ennese ha ottenuto più di una volta il riconoscimento come migliore formaggio storico nella rassegna nazionale che si svolge a Castegnato, in provincia di Brescia – conclude Andrea Scoto – ed è apparsoinsieme agli altri formaggi della nostra Provincia in varie trasmissioni televisive. Ma soprattutto, è stato finalmente possibile registrare un marchio per il Piacentinu ennese e presentare al Ministero delle Risorse Agricole un disciplinare di produzione per la richiesta della denominazione d’origine protetta, inmodo da evitare che altre realtà si approprino della titolarità di questo prodotto”.
Simona Arena
CENTONOVE 14-03-2003

 

Dai un ”calcio” alla tua dieta

Conoscere bene le proprietà nutritive dei formaggi può essere un valido aiuto per una dieta equilibrata e riuscire a variare il menù con più semplicità. Formaggi crudi o freschi come lo yogurt, la ricotta, la mozzarella, lo stracchino e in generale i formaggi caprini contengono il 4 per cento di proteine. A differenza dei formaggi crudi o semistagionati (caciotta, gorgonzola, taleggio, Camoscio d’Oro) che invece danno un apporto proteico che va dal 23 al 27 per cento.
I formaggi semicotti o semistagionati come la fontina, l’asiago, il provolone, il Bel Paese, il caciocavallo e l’olandese possono contenere fino al 29 per cento di proteine. Guidano la classifica dei formaggi più ricchi di proteine quelli cotti e stagionati ( gruviera, emmenthal, parmigiano, grana, pecorino) che possono apportare anche il 40 per cento di proteine. I formaggi sono un alimento ricco di acqua. Soprattutto quelli freschi ne possono contenere fino all’80 per cento, mentre i formaggi stagionati hanno il contenuto minore (35 per cento). Le proporzioni si invertono per quanto riguarda il contenuto di sale, che è minimo nei formaggi freschi (1 yogurt = 60 mg. di sale) e massimo in quelli stagionati (30 gr. di pecorino = 480/1000 mg.). I formaggi sono importanti anche per il loro contenuto di calcio (125 mg. per 100 ml. di latte, 150 mg. per uno yogurt, 300 mg. per 30 gr. di gruviera) sarebbe consigliabile consumare ogni giorno almeno di un bicchiere di latte e 30 grammi di formaggio. Oltre al calcio i formaggio sono ricchi di fosforo (832 mg. per 100 gr. di emmenthal;738 mg. per 100 gr. di parmigiano; 685 mg. per 100 gr. di gruviera; 545 mg. per 100 gr. di ricotta; 380 mg. per 100 gr. di mozzarella o stracchino; 145 mg. per un bicchiere di latte; 114 mg. per uno yogurt)..
Simona Arena
CENTONOVE 14-03-2003

Alla scoperta della “vastedda” il tesoro della Valle del Belice

Il paragone non sarà molto ortodosso, ma quando le vedi incedere con passo lento, la pelliccia accuratamente pettinata sotto la guida attenta del loro accompagnatore, non diresti che si tratta di pecore, ma di consumate modelle. Eccole le pecore “Valle del Belice”, razza pregiata e autoctona, ufficialmente istituita nel 1998 e derivata dall’incrocio di altre tre razze, ugualmente pregevoli (la comisana, la pinzirita e la sarda).

Oltre a molte altre qualità, le pecore Valle del Belice hanno quella di produrre una notevole quantità di latte, e da esso i pastori belicini producono la squisita vastedda, l’unico formaggio siciliano a pasta filata, l’unica mozzarella, per intenderci, di latte ovino.

La vastedda, tipica di Santa Margherita Belice e del circondario, si riconosce per la forma, per il delicato colore avorio e per il gusto gentile. I procedimenti di lavorazione, come perlopiù avviene, sono rigorosamente tradizionali, tramandati di padre in figlio con il rigore di antiche formule alchemiche: tutte le varie fasi hanno una precisa sequenza e una tecnica quasi rituale, stabilite una volta e per sempre nella notte dei tempi.

Con buana pace di chi, in nome di standardizzate norme igieniche, vorrebbe che tutti i prodotti alimentari nascessero in ambienti e con lavorazioni uniformi e imposti dalle moderne tecnologie.

La vastedda, dunque, è quella che si dice un prodotto di nicchia, realizzato in piccole aziende familiari e ancora in attesa di un’adeguata commercializzazione che possa diffonderne i pregi.

D’altra parte questo formaggio non ha nulla da invidiare ad altri, più blasonati “fratelli”: è un’eccellente fonte di principi nutritivi (proteine, vitamine idrosolubili e sali minerali) e il suo contenuto proteico è superiore alla media di altri formaggi ovini freschi. Inoltre è molto leggero e digeribile e in questo modo viene incontro alle esigenze di molti regimi alimentari.

Tutte caratteristiche che hanno spinto produttori e amministratori a dar vita a un Consorzio di tutela della vastedda del Belice, per la salvaguardia e la promozione di questo prodotto e hanno attirato l’attenzione di Slow Food, da sempre attenta alle piccole realtà locali, (e che infatti organizza annualmente un laboratorio del gusto che propone abbinamenti inconsueti, come quello tra vastedda e marmellata).

Il cuore della produzione , come detto, è il piccolo comune di Santa Margherita Belice, un centro della provincia di Agrigento, a spiccata vocazione agricola che proprio alle produzioni di qualità affida il proprio futuro: oltre alla vastedda, infatti, si producono olio di oliva e soprattutto vini doc, e si coltivano fichi d’india che in questa zona, grazie alle caratteristiche pedoclimatiche, acquistano una fragranza e un profumo davvero eccellenti.

In paese, infine, si trova una delle tre sedi del Parco Letterario Tomasi di Lampedusa: nel palazzo che fu una volta della famiglia del grande scrittore, “una delle più belle case di campagna” che egli avesse mai visto, rivive così lo spirito del Gattopardo.

Maria Cristina Castellucci

Supplemento di Palermo “La Repubblica” 06/02/2003

Piacentino, l’orgoglio di Enna

Non fatevi trarre in inganno: la Food Valley non è chiamata in causa quando si parla di piacentino.

In realtà ci spostiamo nel cuore della Sicilia, nella provincia di Enna, dove si produce un formaggio ormai piuttosto raro, nella cui pasta di colore giallo occhieggiano grani di pepe nero. Si tratta del piacentino, sul cui nome esistono varie teorie. Secondo alcuni pare derivi da Piacenza, terra d’origine di caci rotondi e a pasta dura, secondo altri da piacentinu, che piace, oppure piangentinu, ossia formaggio che piange, a causa delle gocce di grasso che trasudano. É molto simile a un pecorino dal colore piuttosto acceso, ma il sapore è molto più complesso. l’inconfondibile aroma è legato alla veccia, un’erbaccia infestante di cui si cibano le pecore, che conferisce un tocco caratteristico e inimitabile.

L’aggiunta dello zafferano pare abbia una sua origine storica. Si narra che Ruggero il Normanno, convinto che lo zafferano avesse un benefico effetto antidepressivo, ordinò ai suoi casari di aggiungere questa spezie nel formaggio destinato alla moglie.

Debutta il pecorino siciliano

Con la marchiatura ufficiale della prima forma da parte dell’assessore regionale all’agricoltura, Giuseppe Castiglione, il pecorino siciliano entra nel ristretto paniere di prodotti a denominazione d’origine protetta, in compagnia del formaggio “ragusano” e di tre olii dell’isola.

Il Sicilia si producono ogni anno oltre 19 milioni di chili di pecorino: la leadership spetta alla provincia di Messina con quasi 4 mila tonnellate prodotte ogni anno, seguono Enna, Palermo, Trapani, Agrigento, Catania, Caltanissetta, Siracusa, e Ragusa.