La Sicilia meglio della California

Tecnologia e creatività. A partire dal luogo fisico, la cittadella del vino di Mezzacorona, a Mezzacorona, fino alla scrivania del gran capo, quella di Claudio Rizzoli, il giovane amministratore delegato dell’articolato gruppo trentino.

Sul suo grande tavolo scuro da lavoro solo lo schermo piatto di un computer e pile ordinate di fogli bianchi, su cui è un continuo appuntare, a matita, osservazioni, progetti, idee, suggerimenti, desideri, soluzioni da sviluppare, da rendere concreti poi, insieme ai team di professionisti che l’azienda conta in quantità e soprattutto alleva al suo interno.

Il tutto con, al centro dell’universo Mezzacorona, il mondo del vino e il lavoro dei soci viticoltori che quel vino contribuiscono a fare.
Puntando sempre a migliorare la qualità dei prodotti, il rapporto con il prezzo, la distribuzione capillare. Allargando, insomma, gli orizzonti. I quali arrivano davvero lontano rispetto alla Val d’Adige: fino in Toscana e, in misura decisamente maggiore, con un migliaio di ettari di vigne acquisite in due aziende distinte, anche in Sicilia.

“Cercavamo terre abbondanti, non solo pochi ettari, dove produrre vini nuovi, specie rossi, da affiancare alla nostra produzione trentina che vede protagonisti soprattutto i bianchi”, spiega Claudio Rizzoli. “Abbiamo cercato in molti posti, anche in California, poi l’America l’abbiamo trovata nel nostro Paese, in Sicilia”. Fino a diventare in tempi brevi “siciliani per scelta”, come dice un azzeccato slogan che li riguarda.

“La nostra è una cooperativa con 1500 soci ma la nostra vocazione, proprio per dar soddisfazione a un così elevato numero di persone, è quella di agire come una azienda agroindustriale”, continua Rizzoli. “Noi coltiviamo uve, le trasformiamo in vino e questo lo distribuiamo in tutto il mondo seguendo logiche di mercato precise e adeguando strutture e iniziative a queste logiche”.

Nel 2001 una Società creata apposta dal Gruppo trentino e di cui gli stessi soci conferitori di uve fanno parte, acquista a Sambuca di Sicilia, nell’Agrigentino, la tenuta ribattezzata Feudo Arancio. Circa 280 ettari di belle vigne degradanti verso il lago Arancio da cui prende il nome l’azienda. Terreni argillosi, montagne intorno, clima da opulenti orti orientali.
Il massimo per uve rosse come il merlot, il syrah e il nero d’avola ma anche decisamente le percabernet sauvignon e chardonnay oltre che per i locali, ma fino a quel momento poco rivalutati, grillo e inzolia.

Nel 2003 l’investimento si ripete, allargato, acquisendo Villa Albius, tenuta di 620 ettari ad Acate, nel ragusano, a due passi dal mare, dove si trovano gli stessi vitigni, seppur su terreni sabbiosi e sotto un clima più nordafricano. Le due aziende sono entrate subito in produzione anche se, forzatamente, non nella totalità dei vigneti per via di trasformazioni agricole e reimpianti. Oggi producono circa 2 milioni e 300 mila bottiglie di vini che viaggiano per il mondo unite sotto il marchio di Feudo Arancio.

Sembrano tanti pezzi ma sono pochi rispetto alle potenzialità totali, che prevedono, fra qualche anno, la produzione di quasi 10 milioni di bottiglie. I luoghi, che avevano dalla loro parte una natura eccezionale e una varietà di vitigni locali in grado di dare ottimi vini, alcolici e strutturati, da affiancare a quelli trentini, più fini ed eleganti, sono stati in breve tempo e con grandi energie anche economiche, “tirati a lustro”, in campagna, nelle strutture , negli apparati tecnologici, capaci di assecondare uve allevate con sistemi ben diversi da quelli del nord Italia, se non altro per fattori ambientali decisamente differenti.

I posti, oltre che concreti in fatto di ottima produzione, sono diventati belli anche da un punto di vista estetico, come vuole lo stile architettonico di pregio che salta ampiamente all’occhio visitando la casa madre di Mezzacorona. Prendiamo, ad esempio, Feudo Arancio, dove c’era un cubane di cemento tirato giù a colpi di dinamite per lasciare il posto a un tipico baglio siciliano, ricostruito ex novo ma in assoluto rispetto dei modelli storici di queste costruzioni agricole dell’Isola.

Feudo Arancio allora non è solo un buon bere ma anche un bel vedere. Con grande soddisfazioni dei 1500 soci trentini che, suddivisi in quattro riprese, sono andati a visitare le “loro” terre siciliane che condividono in armonia con le persone del territorio: tecnici, esperti, collaboratori, contadini accomunati dalla stessa passione per la terra. Si diceva degli investimenti: le due aziende siciliane sono dotate, oltre che delle migliori attrezzature di cantina, ricche di automatismi e di sistemi sofisticati per l’accurato controllo delle temperature, anche di impianti fotovoltaici “mobili”, per seguire il movimento del sole, catturarne il calore e trasformarlo in energia pulita.

“Col computer e il telecomando però non si ottiene niente se a farli funzionare non ci sono gli uomini giusti”, dice l’amministratore delegato Rizzoli. “Quindi, prendiamo persone ben dotate di passione per il lavoro e la loro terra e le formiamo con i nostri esperti e i nostri mezzi in ogni settore.

Una preparazione fatta di stimoli e anche di risorse, di tecnologie e di esperienze sul campo, nei migliori luoghi di produzione del mondo. Facciamo anche molta ricerca , per produrre e distribuire sempre meglio. Una ricerca permanente, non una tantum, perché nel fare bene, nel mondo del vino e soprattutto in campo internazionale, oggi più che mai bisogna guardare avanti, avere idee, sperimentare, supportare, fare esperienza, non temere il confronto. In tre parole: non fermarsi mai. Ma a fare questo siamo ben allenati, da 102 anni di storia, di vendemmia e perché no, anche di successi.

FONTE:Il Mio Vino Professional
Ottobre 2006

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